E’ il film che ha candidato agli oscar 2015 Julianne Moore per il ruolo di una donna a cui viene diagnosticato l‘Alzheimer. Still Alice è diretto da due autori indipendenti americani: Wash Westmoreland e Richard Glatzer ( registi di piccoli film di discreto successo come ad esempio la pellicola che spopolò al Sundance Film Festival nel 2006: Non è peccato – La quinceañera ), quest’ultimo affetto da SLA (sclerosi laterale amiotrofica) , dettaglio non irrilevante nella scelta di dirigere un film che racconta il vissuto di una malattia neurodegenerativa opposta ma altrettanto violenta. La sceneggiatura è ispirata al romanzo della neuropsichiatra Lisa Genova, che come indica il titolo: Perdersi, racconta di come questo male privi progressivamente del sé.
L’argomento è toccante, la metafora del perdere l’identità è sentitamente appropriata, la Moore funziona. Tuttavia il collante che tiene insieme alcuni punti notevoli del film non è efficace: resta costante un sottofondo di patinatura americana che stucca, privilegiando l’aspetto dell’empatia.
Alice è una facoltosa professoressa di Linguistica all’Università, sposata con John (Alec Baldwin) e con tre figli, giovani adulti. La più piccola dei tre, Lydia (Kristen Stewart) , vuole diventare un’attrice, piuttosto che frequentare il college studia recitazione a Los Angeles. La carriera incerta e precaria che l’aspetta è la maggiore preoccupazione dei suoi genitori che insistono perché viva con i piedi per terra, ciò provoca litigi e conflitti che innescheranno successivamente nella ragazza sensi di colpa che porteranno ad un ridimensionamento delle priorità e ad una scelta d’amore.
La professoressa Alice ha solo cinquant’anni ma inizia a perdere colpi: non ricorda la strada di casa mentre fa jogging, ha vuoti di memoria sulle parole in un discorso, sta diventando confusa durante le lezioni. Il neurologo le diagnostica una forma precoce e rara di Alzheimer, quella ereditaria. Di qui un lento decadimento caratterizzato dalla lotta che un cervello evoluto inizierà ad affrontare con sé stesso: la fatica, la paura, la percezione lucida di uno sgretolamento dell’essere, che in una donna che aveva dedicato i suoi studi e la sua ricerca al funzionamento neuronale risulta ancora più sgomento. Notevole il momento in cui Alice verrà invitata ad una conferenza sulla malattia, riuscendo ad incantare il pubblico con un discorso molto diverso da quelli che aveva tenuto sempre all’Università, nessuna spiegazione di processi scientifici, soltanto il racconto di un vissuto e l’ostinato valore dei ricordi.