Vandalizzata, a Milano, la statua di Indro Montanelli. Nella notte tra il 13 e il 14 giugno, un gruppo di giovani ha imbrattato la statua dedicata al giornalista con della vernice rossa e un scritta nera. Il monumento sito nei giardini pubblici, anch’essi a lui dedicati, era stato già oggetto di polemiche da parte dei Sentinelli che ne avevano richiesto la rimozione in quanto presenza imbarazzante per la città. Cosa si nasconde dietro le proteste sulla statua di Indro Montanelli?
Statua di Indro Montanelli: come sono nate le proteste
Tutto sembra nascere all’indomani della morte di George Floyd. Il movimento di protesta si è esteso dapprima in tutti gli Stati Uniti e in un secondo momento in tutto il mondo. Folti cortei hanno sfilato, per le strade di città nei diversi continenti, che hanno visto fianco a fianco bianchi e neri urlare insieme “No justice, no peace!“. Il muro costruito da Trump a protezione della Casa Bianca dai manifestanti è diventato un memoriale dell’uomo ucciso durante un fermo di polizia. E non finisce qui: la rabbia per una morte così assurda si è concretizzata in gesti di intolleranza nei confronti del razzismo, in tutte le sue forme.
Allora, come spesso accade, ecco che si attaccano i simboli del razzismo nelle sue radici coloniali. A Minneapolis, teatro della tragica morte, viene abbattuta la statua di Cristoforo Colombo che si ergeva davanti al Campidoglio mentre a Boston, nel Columbus Park, la statua del navigatore italiano viene decapitata. Di Paese in Paese, la caccia ai simboli del razzismo arriva anche in Italia, dove i Sentinelli di Milano chiedono, con una lettera aperta al sindaco Beppe Sala, la rimozione della statua intitolata a Indro Montanelli, sita nei giardini a lui dedicati nel centro della città.
Lo scorso weekend, poi, un gruppo di giovani appartenenti alla Rete Studenti Milano e LuMe ha rivendicato l’atto vandalico ai danni del monumento al giornalista. Una cascata di vernice rossa e una scritta nera sulla lapide “Razzista, stupratore”. Montanelli non ha mai nascosto che, negli anni della campagna di Etiopia, di aver comprato e sposato una bambina di 12 anni con la quale aveva anche avuto rapporti sessuali. Il racconto destò ripugnanza negli ambienti femministi nell’epoca e gettò un ombra pesante sul giornalista. Un’ombra pesante ma anche lunga considerando i fatti degli ultimi giorni.
Un neo movimento iconoclasta?
L’iconoclastia è un fenomeno che fa parte della storia dell’uomo fin dall’antichità. Molte religioni si sono confrontate su quella linea sottile che divide la devozione dall’idolatria fino ad arrivare il divieto assoluto di esporre immagini propria dell’Islam. Esiste poi un’altra iconoclastia che è quella politica, in perenne conflitto con il culto della personalità. Quel vento che spazza via il ricordo delle pagine di storia più tristi e sanguinose, quel gesto simbolico che vuol dire voltare pagina. È accaduto con la statua di Lenin (l’ultima è stata abbattuta nel 2014 in Ucraina nell’ambito di un conflitto con la Russia); con quella di Stalin (rimossa nel 2010 da Gori in Georgia, città natale del dittatore); con quelle di Saddam Hussein e di Gheddafi entrambe abbattute nel 2011. Oggi i monumenti presi d’assalto non sono i simboli di singoli regimi ma gli emblemi di un fenomeno che ha resistito al tempo e all’avvicendarsi di regimi e governanti: il razzismo.
Un vento nuovo
Il razzismo in America è un fenomeno ancora saldamente radicato. La storia ci parla di leader carismatici come Martin Luther King, Malcom X che hanno contribuito alla consapevolezza del popolo nero. Stavolta sembra che la questione sia “affare di tutti”: dei neri che combattono per i loro diritti e dei bianchi che scendono al loro fianco. In quest’unione mai vista prima c’è il senso di un vento nuovo che vuole tagliare i ponti con gli orrori del passato. In questi mesi stravolti dalla pandemia ci siamo chiesti spesso che mondo sarebbe stato l’emergenza fosse finita. Che questo scenario ne sia un piccolo assaggio?