Nessuna celebrazione quest’anno al memoriale di Srebrenica per ricordare il massacro che 25 anni fa costò la vita a 8000 musulmani bosniaci. La cittadina che l’11 luglio 1995 fu conquistata da Ratko Mladic e dal suo Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, nonostante fosse stata dichiarata dall’ONU zona protetta e godesse della protezione dei caschi blu olandesi. Quella cittadina che dopo aver accolto migliaia di profughi, fu teatro del genocidio più grave dalla fine della seconda guerra mondiale.
La scomparsa della Jugoslavia
Per capire cosa fu il massacro di Srebrenica bisogna fare un passo indietro. Bisogna ripercorrere la storia di quel miscuglio di popoli e religioni che avevano abitato e animato la Jugoslavia. Popoli e religioni che Tito era riuscito a tenere insieme sotto la bandiera della fratellanza in nome del comunismo. Con la sua morte, avvenuta nel 1980, e il crollo del muro di Berlino, nel 1991, le spinte nazionaliste rimaste così a lungo sopite si risvegliarono e portarono alla graduale scomparsa della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e alla nascita di nuovi Stati come la Slovenia, la Croazia e la Serbia.
La Serbia di Ratko Mladic
La guerra nei Balcani iniziò con la dichiarazione d’indipendenza della Slovenia e le dinamiche furono piuttosto lineari. Con la dichiarazione d’indipendenza della Bosnia, invece, entrò in una fase complicata diventando particolarmente sanguinosa. La Serbia e la Croazia si accordarono per spartirsi tra loro la Bosnia, nella quale erano presenti piccole comunità serbe ortodosse e di croati cattolici, ma dovettero fare i conti con l’opposizione della comunità musulmanna che rappresentava la maggioranza della popolazione. Come fare a vincere questa opposizione?
Il massacro dei bosniaci musulmani a Srebrenica
Appena entrato a Srebrenica, Mladic mise subito in moto la macchina della morte. Il primo passo fu quello di separare le donne dagli uomini. I ragazzi musulmani a partire dai 7 anni e gli uomini fino a 70 anni furono caricati su dei camion e nella notte portati in un luogo isolato fuori città. Gli legarono le mani, li bendarono, gli tolsero le scarpe. Una volta giunti a destinazione, uno alla volta furono fatti scendere dal camion e gli fu sparato un colpo alla testa. Una ruspa, poi, ammassò i corpi in una fossa comune ricoperta prontamente dal terreno. Le operazioni di recupero e identificazione dei corpi hanno impiegato anni di duro lavoro e portato all’identificazione di circa 7000 persone ma secondo le stime effettuate ne mancano all’appello ancora 1000. Nessun ricordo per i morti di Srebreniza quest’anno, mentre sulle loro lapidi soffiano nuovi venti nazionalisti.