Spotify, la piattaforma di contenuti streaming più famosa al mondo, ha annunciato un taglio del personale del 17%. Una decisione che si colloca all’interno di un piano di ristrutturazione aziendale avviato dal colosso svedese a inizio anno e portato avanti nonostante i più che soddisfacenti ricavi maturati durante l’anno. L’amministratore delegato e cofondatore dell’azienda, l’imprenditore svedese Daniel Ek, ha spiegato il perché di questa decisione.
Spotify, la regina dello streaming
Lanciata nel 2006 come piattaforma per l’ascolto in streaming di brani musicali, Spotify ha visto i suoi utenti crescere in maniera esponenziale nel tempo. Nel 2015 contava 75 milioni di utenti, nel 2016 ha raggiunto i 40 milioni di utenti paganti. Come tutte le aziende del mondo tecnologico, durante la pandemia i suoi numeri hanno registrato una vera impennata e, grazie anche all’offerta di capitale a basso costo, sono stati possibili, in alcuni casi necessari, investimenti in contenuti e in personale.
La fine delle restrizioni imposte dalla pandemia e il ritorno graduale alla vita precedente ha portato poi una flessione degli introiti. Al tempo stesso le condizioni economiche generali sono cambiate: gli investimenti messi in campo nel 2020 e nel 2021 sono diventati insostenibili. Così, l’azienda svedese, come illustrato da Ek, nonostante un aumento degli utenti attivi del 26% (574 milioni), nel terzo trimestre 2023 si è ritrovata un utile netto di 65 milioni di euro contro i 166 dell’anno precedente. Come ha spiegato Ek l’azienda è stata “più produttiva, ma meno efficiente” e l’obiettivo è quello di “essere entrambe le cose allo stesso tempo“.
Da qui la necessità, sempre secondo Elk, di snellire la struttura aziendale, che tradotto in termini più semplici, significa operare tagli sul personale.
Il piano di ristrutturazione aziendale
Per il 2023 Spotify ha messo in atto un piano di licenziamenti in tre ondate. La prima ha avuto luogo a gennaio e ha mandato a casa 600 persone (il 6% del personale), la seconda a giugno e ha coinvolto altri 200 impiegati (il 2% della forza lavoro). Quest’ultima ondata, annunciata il 4 dicembre, taglierà il personale di un ulteriore 17%, cioè metterà alla porta 1.500 dipendenti.
Daniel Ek ammette che un piano simile sia difficile da comprendere per un’azienda che ha fatto i suoi profitti ma si è reso necessario per “allineare Spotify” con “gli obiettivi futuri” e di garantire un adeguato dimensionamento “per le sfide che verranno”. Il capitolo tagli del personale, a quanto pare, non finisce qui ma sembra dover proseguire anche per i prossimi due anni.
Quanti licenziamenti nel mondo Tech
Spotify, come sappiamo, non è la prima azienda del settore tecnologico ad aver effettuato dei tagli al personale. Lo scorso anno Facebook ha licenziato 11.000 dipendenti, Amazon 10.000, Getir 4.48, Twitter 3.700, cioè il 50% dei propri dipendenti. Ancora Uber ha effettuato 6.700 licenziamenti, Peloton 2.800, Groupon 2.800. In totale, nel 2022, nel settore tecnologico, ci sarebbero stati 121mila licenziamenti di cui 106mila solo negli Stati Uniti.
I ricavi astronomici registrati durante la pandemia lasciavano presagire una continuazione del trend positivo ma le difficoltà economiche sorte subito dopo hanno decisamente invertito la tendenza. L’inflazione fa sentire il suo peso.