Per promuovere lo sport italiano da materia marginale di scuola a parte fondante della vita di tutti occorre spingere il professionismo. Maschile e femminile – e qui sono chiamate in causa le federazioni. Ma volontà e risorse non bastano, serve anche una riforma normativa. |
Torino, 8 settembre 2021_Dalla Sala delle Colonne del prestigioso Castello del Valentino a Torino, patrimonio dell’Unesco, sono continuati martedì pomeriggio gli Stati Generali Mondo Lavoro delle Sport, dedicando l’appuntamento alle competenze per l’evoluzione dello sport italiano. Competenze, segnala Fabrizio Tencone, Direttore Isokinetic Medical Group, che spesso hanno risorse economiche e tecnologiche straordinarie che permettono di produrre risultati come l’individuazione di nuove patologiche fino a ieri sconosciute o nuovi trattamenti di rigenerazione cellulare dei tessuti. Se è vero, come è vero, che gli atleti che si infortunano hanno a disposizione 7 volte la riabilitazione accessibile a noi comuni mortali, è vero però che la ricerca medica e riabilitativa in campo agonistico diventa patrimonio di tutti, come la ricerca sulle prestazioni delle auto da corsa della Formula 1 finisce per beneficiare il mercato dell’auto retail. La domanda più importante posta agli esperti presenti è se la promozione del professionismo sportivo porterebbe a un innalzamento delle competenze, sul campo e fuori dal campo. Secondo Fabio Poli, direttore organizzativo Associazione Italiana Calciatori, professionismo è solo un termine legale previsto dalla normativa corrente; quello che davvero conta è promuovere la professionalità, intesa come pratica sportiva a tempo pieno che dia da vivere. Sport come lavoro. Forse da qui si potrà partire per arrivare allo sport come materia scolastica con piena dignità, allo sport come buona abitudine di tutti i giorni. Anche se si stenta a crederlo, ancora oggi non esistono categorie sportive professionistiche femminili e non è la legge a non prevederle ma le federazioni cui è demandata la scelta. Cosa significa? Significa che una donna atleta, anche con prestazioni apicali, guadagna solo se vince. Umberto Gandini, presidente Lega Basket, fa notare che il passaggio dal dilettantismo al professionismo implica un carico fiscale spesso insostenibile per le società. E’ quindi più questione di appellarsi a una revisione della normativa che alla buona volontà delle società sportive. Si tocca poi il tema cruciale della vita professionale dopo la carriera agonistica. Su questo interviene nuovamente Fabio Poli portando la testimonianza dei progetti di dual career dell’Associazione Calciatori, che si occupano di formare gli atleti mentre svolgono la propria attività agonistica con corsi di laurea e minimaster – segnalando con orgoglio che mentre solo 10 anni fa i calciatori o le calciatrici iscritti a un corso di laurea o laureati erano l’1,7%, oggi sono il 17%. Dall’altra parte Poli sottolinea l’importanza anche dell’attività di orientamento personalizzato al lavoro post l’agonismo. Su 12.000 calciatori osservati tra il 1985/86 e il 2015/16, atleti alla fine dell’agonismo ma a 30 anni dalla pensione, solo il 5% si è riqualificato, quasi tutti come allenatori e preparatori perché non conoscono né immagino opzioni alternative. Oggi l’Associazione ha messo a disposizione degli associati una app grazie alla quale gli ex calciatori professionisti possono accedere automaticamente e gratuitamente al servizio di consulenza e orientamento professionale. |