La richiesta dell’aumento delle spese militari italiane, diciamolo, è un pugno nello stomaco. Al di là di accordi presi in precedenza, il momento attuale presenta tante altre priorità e quello di un allargamento della guerra ora in atto appare molto più di uno spettro. L’accordo trovato di slittare l’adeguamento al 2028 è una scelta che può apparire di buon senso, giusto per salvare i cosiddetti “capra e cavoli” ma prima o poi il nodo si dovrà sciogliere. Intanto i venti di pace soffiano deboli, troppo…
Spese militari italiane: aumento rimandato al 2028
L’aumento della spesa militare al 2% del PIL (finora siamo al 1,41%) è frutto, come sappiamo, di un accordo raggiunto dai Paesi aderenti alla Nato nel 2014 durante il vertice di Newport, in Galles. In realtà se ne era già parlato, anche se in solo in linea teorica, nel corso del vertice Nato del 2006 a Riga, in Lettonia, come impegno a partecipare alla difesa comune. Nel 2014, dopo l’invasione della Crimea da parte della Russia, l’impegno (non vincolante) venne fissato nella misura del 2%, appunto, entro dieci anni, quindi entro il 2024. L’appello a sostenere la difesa è, concretamente, un appello a riarmarsi e oggi non è un buon segnale. Non lo è non solo per il pericolo al quale siamo esposti ma anche perché la volontà di arrivare alla pace non la percepiamo.
“Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il 2% per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia!“
Papa Francesco
Papa Francesco
L’unico a essersi scagliato, senza se e senza ma, contro la proposta di aumentare le spese militari nel nostro Paese è stato papa Francesco. Il pontefice, che ha ammesso di aver provato vergogna di fronte a questa eventualità, è attualmente uno dei pochi capi di Stato che sta facendo sentire la sua voce e si sta adoperando per far sì che cessino le ostilità in Ucraina. I Paesi europei e l’Unione europea in testa, come abbiamo sottolineato più volte, con le loro scelte, si sono preclusi la possibilità, di sedere al tavolo delle trattative di pace.
Venti di pace
Pace: una parola che sembra essere diventata sinonimo di tradimento. Un parola che, nella visione di queste settimane, è un intralcio al sacrosanto diritto di un popolo a difendersi dall’invasore. Quello stesso sacrosanto diritto che è divenuto il nostro di assicurarci scaffali dei supermercati pieni, l’inverno al calduccio e l’estate al fresco. “Non si tratta con il nemico” sentiamo dire, “Ogni concessione potrebbe essere un’autorizzazione a fare il proprio comodo“. Se è così che veramente la pensiamo allora smettiamola di indignarci per le immagini dei morti lasciati sulle strade di Bucha, smettiamo di commuoverci per la morte del piccolo Sasha.