Cosa succede al corpo umano quando viene sottoposto alleradiazioni cosmiche?
Questa domanda accompagna da sempre le missioni nello spazio, e negli ultimi anni sono stati fatti numerosi studi per analizzare i possibili pericoli per gli astronauti.
La NASA, come anche altre agenzie spaziali, hanno adottato alcune misure di precauzione, riducendo il tempo massimo che un uomo o una donna può trascorrere nello spazio in modo da mantenere al di sotto del 3% il rischio di effetti dannosi delle radiazioni.
Una strategia che però non funziona per la politica a medio e lungo termine dell’agenzia spaziale americana, che punta ad esempio alla prima missione umana oltre l’orbita terrestre con l’obiettivo di raggiungere Marte nel 2030.
Questo implicherà un viaggio decisamente più lungo di quelli mai fatti fino ad ora e esposizioni a radiazioni nel suo insieme mai prima riscontrate da essere umano.
È così che alcuni gruppi di ricerca hanno iniziato a indagare possibili soluzioni per prevenire i rischi legati alle radiazioni spaziali, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di tumori. Tra questi c’è il laboratorio di Michael Weil al Cancer Center dell’Università del Colorado.
I risultati, pubblicati sulla rivista Frontiers in Oncology, mostrano un collegamento per così dire “inverso”: gli ioni ad alta energiadelle radiazioni subite nello spazio sono simili a quelli che a Terra vengono invece utilizzati come cura contro il cancro, ad esempio in Giappone e in Germania.
Due facce della stessa medaglia: il modo in cui gli ioni di carbonio depositano energia si presta a colpire le cellule tumorali dei tessuti malati senza danneggiare le cellule sane circostanti, ma allo stesso tempo porta con sé un fattore di rischio per lo sviluppo di nuovi tumori.
È esattamente questo fattore di rischio l’oggetto di indagine di Weil e colleghi. Gli scienziati hanno avuto accesso allo Space Radiation Laboratory della NASA a Long Island, New York, per simulare in un acceleratore alcuni tipi di radiazioni che ritroviamo nello spazio e valutarne gli effetti cancerogeni.
“Gli acceleratori di particelle – spiega Vittorio Cotronei, medico e ricercatore tecnologo dell’Agenzia Spaziale Italiana – sono l’unico modo che attualmente abbiamo per valutare gli effetti di alcuni tipi di radiazioni che incontriamo nello spazio al di fuori della fascia protettiva dell’atmosfera. Parliamo delle radiazioni cosmiche e in particolare degli ioni ad alto numero atomico ed energia. Non abbiamo esperienze dirette su questo tipo di radiazioni e le simulazioni vengono appunto fatte a Terra negli acceleratori per verificarne gli effetti, ad esempio, su cellule o tessuti.”
Il gruppo di ricerca di Weil ha quindi agito su fasci di ioni accelerati nello Space Radiation Laboratory, scoprendo che questo tipo di radiazioni ha una forte incidenza nello sviluppo di tumori.
Quelle analizzate negli acceleratori sono però concentrazioni molto alte di radiazioni, difficili da paragonare a quelle che effettivamente gli astronauti subirebbero nello spazio. È un po’ come cercare di analizzare un medicinale assunto su base giornaliera valutandone gli effetti in un anno: impossibile distinguere le conseguenze a breve e medio termine. Allo stesso modo, l’acceleratore non è in grado di fornirci informazioni sull’esposizione a radiazioni per un periodo di tempo prolungato.
Lo studio di Weil pone dunque un problema fondamentale per le missioni di esplorazione dello spazio, quello dell’esposizione prolungata a radiazioni cosmiche. Per l’uomo uno degli elementi di maggiore incertezza di un viaggio spaziale è proprio l’impossibilità di proteggersi dalle radiazioni non essendovi al momento materiali adatti a questo scopo.
I risultati ottenuti da Weil e colleghi rafforzano così il filone di ricerca che sostiene l’importanza di effettuare e intensificare nuovi studi prima di pianificare missioni umane di lunga durata nello spazio.
“I tre elementi chiave e limitanti di una missione spaziale – spiega Cotronei – sono il sostentamento, la microgravità e appunto le radiazioni. Queste ultime costituiscono l’incognita maggiore. E se realmente vogliamo andare su Marte occorre non solo approfondire e intensificare lo studio dell’effetto dell’esposizione alle radiazioni cosmiche ma anche realizzare adeguate contromisure, siano esse fisiche o chimiche, che ne limitino le conseguenze.”