Il Museo Nazionale del Cinema di Torino presenta SOUNDFRAMES. CINEMA E MUSICA IN MOSTRA, un progetto innovativo nato da un concept di Donata Pesenti Campagnoni e a cura di Grazia Paganelli e Stefano Boni. Co-curatore è Maurizio Pisani, direttore di SeeYouSound International Music Film Festival, giunto quest’anno alla sua quarta edizione e di cui la mostra è ideale prosecuzione e ampliamento. La mostra è dedicata a Gianni Rondolino.
SOUNDFRAMES è una mostra innovativa che racconta la trasversalità delle arti, le contaminazioni tra due diversi linguaggi artistici, il cinema e la musica, e ha caratteristiche completamente innovative rispetto al passato. Unica per eterogeneità e ricchezza delle proposte, usa la multimedialità come veicolo per offrire al pubblico una visita esperienziale immersiva e totale nell’universo del cinema e della musica, anche grazie alle cuffie wireless e a una tecnologia intelligente e avanzata. E’ una mostra viva, che tocca le corde emozionali dello spettatore e che segna un nuovo corso.
Il percorso di visita si sviluppa lungo la rampa elicoidale: 9 aree tematiche, oltre 130 sequenze di film proiettate su 60 schermi per un totale di 90 metri di proiezione lineare, quasi a formare un film ideale che racconta i mille modi in cui la musica e le immagini del cinema si sono incontrate nel corso di oltre un secolo. Il percorso è duplice: cronologico e tematico.
Si parte dal cinema muto, prima espressione del rapporto tra le due arti. Qui la musica veniva eseguita durante le proiezioni: il pianista improvvisava per coprire il fastidioso rumore del proiettore. Solo in seguito i registi si sono resi conto che potevano spingersi oltre e creare qualcosa di nuovo. È qui che la musica inizia a sottolineare il potere delle immagini.
Il passaggio successivo è il musical, che nasce quasi subito dopo l’avvento del sonoro: lo sviluppo narrativo e drammaturgico della vicenda è strutturato su canzoni e danze. Da qui in poi il precorso cronologico si fonde con quelli tematici. A partire dalla sezione dedicata ai grandi compositori, che mette in luce come questi abbiano imposto al sistema produttivo hollywoodiano le partiture originali: la musica traduce le emozioni e nascono le colonne sonore.
Alcuni autori, invece, riconoscono nella musica la facoltà di essere molto più di un mero accompagnamento delle immagini, caricandola di senso e di una funzione più complessa rispetto al passato. Nella sezione dedicata al cinema d’autore si racconta questo particolare rapporto che si sviluppa tra nouvelle vague e New Hollywood.
Il documentario musicale si impone come genere narrativo negli anni ’60 con l’arrivo del rock e dei registi indipendenti. Nuove declinazioni di cinema di finzione in rapporto alla musica sono il biopic (film biografici che ricostruiscono momenti salienti della vita e dell’opera di artisti) e i film musicali, capaci di inventarsi vite immaginarie dentro i molteplici mondi della musica.
L’horror è il genere cinematografico che maggiormente ha saputo sfruttare l’aspetto inquietante che la musica conferisce alle immagini, amplificandone le sensazioni.
La sezione dedicata al magico accordo racconta come, a partire dagli anni Cinquanta, l’industria del cinema e quella discografica si sono reciprocamente sostenute e valorizzate, con l’obiettivo di raggiungere nuovi target commerciali.
Con la progressiva diffusione della televisione e la conseguente perdita di centralità della radio, l’industria discografica utilizza come strumento di promozione una nuova forma di audiovisivo, il videoclip. Molti i registi di cinema che vi si sono dedicati, a sottolineare ancora una volta la loro vicinanza formale e produttiva alla musica. Il videoclip è diventato una forma di cinema a tutti gli effetti, che negli anni recenti ha sperimentato frontiere sempre più estreme.
L’ultima parte del percorso, in cima alla rampa elicoidale, propone sei stanze interattive, a completamento di un viaggio emotivo nell’universo musicale del cinema, dove si può essere parte attiva nel gioco di interazione tra la musica e la Settima Arte. Infine al culmine dell’immersione nella mostra, il visitatore conclude l’esperienza entrando nell’ultima stanza, dove si congeda al cospetto dell’immagine in assoluto silenzio.