Il Teatro comunale San Teodoro di Cantù è lieto di presentare Sottopelle, mostra personale dell’artista Rachele Moscatelli (Cantù, 1993) a cura di Elisa Fusi.
Gli spazi del teatro canturino presentano la recente produzione della giovane artista: tredici opere di medie e piccole dimensioni realizzate su carta e tela, appartenenti alla serie Collezione di Madonne; una grande installazione fotografica dal titolo Nuotare è come volare; un’installazione site-specific allestita sul palco del teatro esclusivamente per la serata di inaugurazione, che metterà in scena una Crocifissione al femminile ambientata in un salotto borghese.
L’esposizione testimonia l’interesse dell’artista per la rappresentazione della figura femminile indagata da un lato come icona di bellezza pubblicitaria e dall’altro come depositaria dell’affetto ma anche deldolore materno, come avviene nell’iconografia sacra.
Nella volontà di unire apparenza e sostanza, contemporaneità e tradizione, voleri e valori, Moscatelli affronta con un linguaggio semplice e diretto l’aspetto estetico, sociologico e antropologico della questione dell’identità femminile, accantonando gli ideologismi a favore di una presa diretta con la realtà e l’esperienza personale.
La mostra si apre con la serie Collezione di Madonne, sei opere realizzate tra il 2015 e il 2016 con il collage, la stampa digitale e la stampa calcografica su carta.
Come il ragno perde la sua pelle e il baco da seta il suo involucro, queste Madonne nate dalla contemporaneitàperdono le loro sembianze per diventare simboli di maternità e disofferenza.
Sono figure perturbanti ed enigmatiche, prelevate dalle pagine patinate delle riviste di moda e dalle pubblicità e poi manipolate e distorte nella loro fisionomia attraverso diverse tecniche tra cui l’incisione e il collage per far emergere il dolore del loro vissuto.
Soffocate, lacerate e incise in superficie, si ergono solitarie in primo piano con colli allungati, sorrisi stridenti e sguardi insani.
Una sofferenza del tutto femminile che caratterizza anche l’installazione che trova luogo sul palco del teatro: una Crocifissione che rovescia la tradizionale iconografia mostrando come il dolore della vergine per la morte del figlio sia così forte da diventare lei stessa oggetto dellacrocifissione.
La crocifissione è però un’allusione simbolica e metaforica: non siamo su un monte e non ci sono croci, ma pochi elementi ambientano la scena all’interno di un salotto; non ci sono personaggi dalle sembianze umane ma una serie di fantocci realizzati dall’artista con calzamaglie ricolme di ovatta o di bachi da seta ormai estinti (il protagonista), quali interpreti della fecondità materna ma allo stesso tempo dell’aborto.
La loro disposizione richiama la Crocifissione di Matthias Grünewald, un’opera del Cinquecento che colpisce per la resa efficace dell’agonia dei personaggi, e di cui troviamo un dettaglio tra le pagine del libro d’artista Rachele aperto al centro del palco.
Si tratta di un libro di memorie, appunti e paragoni visivi che racchiude l’intero processo di ideazione di questa mostra e l’indagine svolta negli anni sull’identità femminile.
Ed è da queste pagine, dall’associazione visiva tra una Crocifissione dipinta da Francis Bacon e una statua raffigurante la Madonna sofferente, che nasce l’idea di una crocifissione al femminile, in cui il dolore della Madonna diventi altrettanto forte e universale.
Un intreccio di riferimenti iconografici storico-artistici ma anche autobiografici, nati da una presa diretta con la realtà.
Su un secondo piano di lettura, infatti, l’approccio alla sofferenza è intimo e personale, proveniente dalla perdita di una familiare. E quindi il body, il cassetto, le fotografie: elementi di una storia privata che circoscrivono all’ambito personale un’iconografia di portata universale.
La sofferenza trova infine pace nell’ultima opera, una composizione di grande formato che chiude concettualmente la mostra proponendo una sorta di catarsi, di resurrezione.