Sostenibilità e inclusione: o meglio, sostenibilità è anche inclusione. Se pensiamo al termine nella sua declinazione ambientale ci viene facile collegarla a concetti come, per esempio, economia circolare. Se invece lo consideriamo nella sua accezione sociale, dobbiamo allargare la visuale pensando a una società che sia equa per tutti: uomini e donne. E’ da questo presupposto che nasce “Road to pink“, il progetto ideato dall’Associazione no profit “Road to green 2020“. Un nuovo contributo alla lotta contro la violenza sulle donne e le discriminazioni di genere così come ci racconta, in questa intervista, Barbara Molinario, presidente di Road to green 2020.
Barbara Molinario, come nasce Road to pink e di cosa si occupa?
Road to pink è nata durante una riunione con il team organizzativo di Road to green 2020. Parlando di sostenibilità nei vari ambiti sociali, è emerso come non sia possibile definire una società sostenibile ed inclusiva, se non c’è parità di genere.
Road to pink possiamo definirlo come un progetto di Road to green 2020 che vuole aiutare a sconfiggere questo divario ad ogni livello: in azienda, nei rapporti interpersonali, sui social, sui media… Per farlo, agiremo su due livelli, con iniziative nostre e dando visibilità a progetti di altri.
Secondo la vostra visione una società sostenibile è anche una società sicura per le donne. Ce ne parli.
Spesso parlando di città sostenibile ci concentriamo solo sull’ambiente, sulla pulizia degli spazi urbani, sulla gestione dei rifiuti… Tutte cose molto importanti, ma una città in cui una donna ha paura a camminare da sola, in cui viene discriminata per come si veste o l’essere donna è un ostacolo alla sua carriera, anche se pulita ed efficiente, può essere definita sostenibile? Secondo noi decisamente no.
Partendo dal presupposto che le quote rosa hanno fatto il loro tempo, quali azioni si possono mettere in campo oggi per abbattere il muro di disuguaglianza tra uomini e donne?
Dobbiamo intervenire a livello culturale, facendo in modo che l’uguaglianza non sia qualcosa di imposto ed obbligato, ma qualcosa che viene naturale, perché non potrebbe essere altrimenti.
Certo, la strada è ancora lunga, ma avviare dei progetti di sensibilizzazione all’interno delle scuole, delle grandi aziende e delle istituzioni è un buon punto di partenza. Anche intervenire sul linguaggio è importante.
Le quote rosa hanno avuto il merito di lasciar entrare donne in posizioni apicali che prima erano loro precluse, ma non hanno fatto molto a livello culturale. Questo, in alcuni casi, è stato controproducente, portando alcune persone a pensare che quella manager sieda su quella poltrona solo perché donna, e non per le sue qualità e le sue competenze.
Qual è il primo progetto che sosterrete con la vostra associazione?
Ancora è in fase di lavorazione, e non vogliamo dire molto. Però, possiamo anticipare che lo presenteremo in autunno e sarà un progetto di sensibilizzazione rivolto agli ambienti lavorativi.
Vorremmo coinvolgere trasversalmente aziende private, associazioni di imprenditori e di imprese, istituzioni pubbliche e chiunque voglia abbracciare la nostra iniziativa.
Proveremo a lavorare a livello culturale, cercando di distruggere vecchi e infondati stereotipi di genere, che spesso rendono gli ambienti lavorativi ostili per le donne.