La solitudine dell’artista
SOLITUDINI di Grazia Verasani è uno degli ultimi nati della casa editrice Oligo. In questa bella intervista, l’autrice ci racconta come e perché è arrivata a parlare di solitudine e solitudini. Il libro, che si legge tutto di un fiato (poco meno di 50 pagine), è un concentrato di spunti e riflessioni su argomento che non ha tempo: la solitudine.
Grazia Verasani è riuscita meravigliosamente a cogliere la solitudine nei suoi diversi aspetti, raccontandoci quella di alcuni scrittori famosi per veicolarci che, spesso, la solitudine è una condizione ricercata e non sempre, necessariamente, sofferta.
Con grande delicatezza, l’autrice ripercorre la propria concezione di solitudine attraverso quella di grandi scrittori come Ovidio, Katherine Mansfield, Emily Dickinson, Robert Walser, Schopenhauer, a volte abbracciandone la visione, altre volte allontanandosene.
La lettura di SOLITUDINI di Grazia Verasani sarà certamente un grande stimolo alla riflessione, non solo sulla nostra vita, ma anche su quella degli altri.
SOLITUDINI di Grazia Verasani: intervista all’autrice
Com’è nata la scelta di trattare l’argomento della solitudine?
L’amico scrittore Davide Bregola mi ha proposto di scrivere il libricino preannunciandomi l’argomento. Ho accettato subito, avevo letto altre pubblicazioni di Oligo, provavo stima per il loro lavoro, e poi un trattatello sulla solitudine era stimolante, sapevo di poter dire la mia sul tema, ero felice di dare un contributo.
Che rapporto c’è, secondo lei, tra scrittura e solitudine?
E’ un rapporto molto stretto, direi inestricabile. Per scrivere occorre isolamento, silenzio, almeno per me. Non scrivo mai con musica di sottofondo, proprio per cercare una mia musicalità. La magia della scrittura è che nonostante tu sia fisicamente solo nell’atto, nel gesto di scrivere, in realtà sei in compagnia dei tuoi personaggi, delle tue storie, e quindi la solitudine viene meno. Creare è questo. Un “prodotto” della solitudine che rende meno soli sia chi lo realizza che chi ne usufruisce.
In “Solitudini” lei cita uno scrittore che amo molto, Robert Walser. Può raccontare ai lettori perché ha scelto di parlarne?
Ho conosciuto letterariamente Robert Walser grazie al mio mentore Gianni Celati, che trovava similitudini tra la mia scrittura e quella del magnifico, disperato autore svizzero. Ho letto tutti i suoi libri, e anche saggi e biografie. Una delle mie bibbie è il suo “Jakob von Gunten”. Walser era un grande solitario, un camminatore solitario, proprio come Celati, ma amava la natura ed era curioso delle persone, dell’arte, della vita semplice. Il suo valore letterario purtroppo è stato riconosciuto post mortem, e la sua è stata una lunga vita manicomiale. Un genio assoluto.
Molti scrittori hanno delle vere e proprie “ossessioni”, temi intorno ai quali scriveranno per tutta la vita, lei ne ha?
Sì, devo dire che quasi tutta la mia narrativa ruota intorno al tema del suicidio. Ho dovuto fare i conti col suicidio da ragazzina, un trauma che mi ha segnato e ha inevitabilmente centralizzato i miei scritti. Da “Quo vadis, baby’” a “Tutto il freddo che ho preso”, da “From Medea a “Lettera a Dina” il suicidio è spesso, volente o nolente, protagonista o comprimario. Un’ossessione in cerca di catarsi.
Progetti per il futuro? Sta già lavorando a qualcosa in particolare?
Sì, sto scrivendo un romanzo, breve e denso, e un po’ distopico, un ritratto della nostra epoca e dei rischi morali che stiamo correndo. Può essere definito “nero”, ma io non amo le etichette. Cerco sempre di scrivere liberamente e sono quando ho un’idea che mi convince, che mi smuove, e che sento in qualche modo necessaria.
Grazia Verasani vive a Bologna. Ha iniziato a scrivere incentivata da Gianni Celati, Roberto Roversi, Tonino Guerra e Stefano Benni. Dal suo noir d’esordio Quo vadis baby? (Mondadori 2004) il regista premio oscar Gabriele Salvatores ha tratto l’omonimo film e prodotto la serie tv Sky. Sono seguiti libri di successo per Feltrinelli, Giunti, La Nave di Teseo e Marsilio, che ha pubblicato Come la pioggia sul cellofan (2020) e Non ho molto tempo (2021, memoir dedicato all’amico Ezio Bosso). Tra le opere teatrali segnaliamo From Medea-Maternity Blues (Sironi, film nel 2012 per la regia di Fabrizio Cattani, presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, premio per la miglior sceneggiatura al BIF festival, Nastro d’argento e due Globi d’oro) e tra le collaborazioni TV la sceneggiatura della docufiction Amati Fantasmi (Rai5, 2021).