I solfiti, additivi utilizzati per favorire la conservazione degli alimenti, sono spesso al centro di ferventi polemiche riguardanti i rischi per la salute dell’uomo derivanti dal loro utilizzo.
Non ultimo, infatti, il caso dello scorso Dicembre che ha riguardato alcune catene alimentari di grande distribuzione. Auchan, Coop e Simply, sono state costrette a richiamare dal mercato il lotto di pasta d’acciughe 80031048, questo, con scadenza posta al 27/01/2018 e bollo IT 1 CE, è stato ritirato per la mancata indicazione in etichetta del contenuto di solfiti, generando il sospetto dei più. Una grande quantità di solfiti, infatti, può generare serie conseguenze nei soggetti allergici, ad oggi, infatti, vige l’obbligo di dichiarazione in etichetta nel caso in cui il contenuto superi i 10 milligrammi per litro o chilogrammo.
Così come l’anidride solforosa, i solfiti trovano una grandissima applicazione nei cibi destinati alla grande distribuzione in quanto vengono impegnati come conservanti per contrastare fenomeni quali ossidazione, diffusione di microbi, muffe, lieviti e batteri nei prodotti posti sul mercato. Questi, inoltre, aiutano anche a preservare la “bellezza” del cibo, la solfitazione, infatti, evita che gli alimenti tendano a scurirsi.
E’ più probabile che alimenti ricchi di zuccheri o amidi presentino un quantitativo maggiore di solfiti in quanto maggiormente a rischio deterioramento. Per avere un’idea di cosa mangiamo è importante capire come viene tradotta in etichetta la presenza di solfiti:
· L’anidride solforosa è indicata con la sigla E220
· IL solfito di sodio con E221
· Il bisolfito di sodio con E222
· Il metabisolfito di sodio con E223
· Il metabisolfito di potassio con E224
· Il solfito di potassio con E225
· Il solfito di calcio con E226
· Il bisolfito di calcio con E227
· Il potassio solfito acido con E228
In etichetta viene sempre riportato il nome chimico e/o, eventualmente, il codice di identificazione, mentre per i prodotti freschi non c’è obbligo di indicazione. Le quantità tollerabili e tollerate sono stabilite dal Regolamento Europeo 1129/2011.
La presenza di solfiti riguarda per lo più i vini, tuttavia, esistono degli alimenti che a prima vista potremmo considerare insospettabili che riservano non poche sorprese. Ci sono, poi, alimenti che naturalmente contengono solfiti.
I cibi che in base al suindicato Regolamento Europeo sono considerati ad alto contenuto sono:
· Frutta essiccata (albicocche, uvetta, prugne, pesche, fichi): 2000 mg/kg
· Banane essiccate: 1000 mg/kg
· Mele e pere essiccate: 600 mg/kg
· Senape di Digione (forte): 500 mg/kg
· Preparati per puré e fiocchi di patata disidratati: 400 mg/kg
· Succo di limone confezionato: 350 mg/l
· Senape (altri tipi, dolce): 250 mg/kg
· Stoccafisso e baccalà: 200 mg/kg
· Pomodori secchi: 200 mg/kg
· Aceto: 170 mg/l
· Crostacei: 150 mg/kg
Per quanto concerne i vini, la questione diventa un tantino diversa, i solfiti sono aggiunti in diverse fasi e con scopi differenti. Queste sostanze evitano l’ossidazione del succo d’uva e inibiscono la fermentazione causata dai lieviti delle bucce degli acini che potrebbero inficiare il gusto e l’aroma del vino stesso. Nei vini rossi la solfitazione aiuta l’estrazione, la macerazione e la stabilizzazione del prodotto finale, inoltre, l’uso dell’anidride solforosa aiuta a schiarire il mosto ed evitare che il vino si deteriori. I vini bianchi e dolci presentano quantità di additivi maggiori rispetto a quelli rossi, questo, a causa del fatto che sono più facilmente deteriorabili in quanto non avendo trasformato in alcool tutti gli zuccheri, possono continuare a fermentare. I polifenoli contenuti nei vini rossi, invece, aiutano la conservazione e a limitare l’uso di solfiti.
Per chi non è particolarmente sensibile a queste sostanze, la loro presenza negli alimenti non dovrebbe creare problemi anche se andrebbe sempre tenuta sotto controllo, diversamente, per i soggetti allergici o con particolari sensibilità, i solfiti creano non pochi problemi; possono causare bronco spasmi e irritazioni a causa della reazione che avviene quando entrano in contatto con gli acidi gastrici, per cui, ad esempio, gli allergici all’aspirina dovrebbero evitare l’uso di alimenti con troppi conservanti. L’OMS, infatti, indica delle dosi massime giornaliere, individuando come quantità massima 0,7 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo.