Tutti sappiamo chi sono gli analfabeti, anche se col tempo l’analfabetismo ha assunto delle connotazioni differenti, soprattutto in virtù della sempre maggiore esposizione a contenuti ed informazioni e della crescita esponenziale della tecnologia. Originariamente gli analfabeti non sapevano leggere nè scrivere o non padroneggiavano totalmente le due competenze. Questa mancanza “tecnica” non escludeva però l’abilità nel relazionarsi con gli altri ed il mondo circostante, nè l’arguzia nel prendere decisioni quotidiane anche di una certa importanza.
Nel Terzo Millennio, le cose sono un po’ cambiate. I campi dell’analfabetismo si sono ampliati e contemplano più settori: non è inusuale sentir parlare ad esempio di analfabetismo informatico o politico. Gli analfabeti inoltre non sono più solo quelli ‘strictu sensu’, ma sono soprattutto quelli funzionali. Non è detto che chi sa leggere e scrivere, e possiede un insieme di conoscenze, siano esse grammaticali, lessicali o matematiche, poi le sappia usare debitamente. Nasce così l’analfabeta funzionale: so scrivere, ma non so comunicarti una notizia nella maniera corretta; so leggere, ma non so comprendere un determinato testo; possiedo buone conoscenze di calcolo, ma non riesco a gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita quotidiana; conosco tutto dell’assicurazione della mia auto, ma non so interpretare i dati della polizza; so a cosa serve quel farmaco, ma non capisco il bugiardino, e così via.
L’indagine dell’OCSE “All, Adult Literacy and Life Skills” ha fatto emergere una situazione italiana allarmante. Il professor Tullio De Mauro, noto linguista esperto di analfabetismo funzionale, ha dichiarato che “soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea. il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello”. Si possiede in pratica un bagaglio (spesso anche ingente) di nozioni, ma ci si trova spesso in difficoltà nel momento in cui si dovrebbe utilizzarle: ne conseguono una scarsa capacità di problem solving, un approccio approssimativo laddove servirebbero padronanza e competenza, un atteggiamento di arrendevolezza nei confronti dei nuovi problemi che si presenteranno poi.
I risultati del PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), un’indagine internazionale che ha messo a confronto in 24 Paesi (Stati Uniti, Giappone, Australia, Canada, Austria, Russia, Belgio, Inghilterra, Germania, Francia, Italia, Spagna, Cipro, Corea, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Norvegia, Olanda, Polonia, Svezia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca e Svezia) le competenze fondamentali della popolazione tra i 16 e i 65 anni, confermano l’alto tasso di illetteralismo in Italia, molto al di sotto della media degli altri Paesi. Va da sè che questo nuovo analfabetismo si traduce in una sorta di “cittadinanza passiva”: un acculturarsi vuoto, scevro di tutte quelle competenze che possono renderci protagonisti attivi della nostra vita.
Esiste una cura per questo male dilagante? Sì, ma solo se tutti quelli che sono (o dovrebbero essere) deputati all’educazione/formazione dell’individuo, dalla famiglia alla scuola alla politica, non rinunciano alle sfide della complessità. Il dogmatismo annulla qualsiasi spinta verso una crescita costruttiva, e quindi ci si trova ad assumere nozioni ad oltranza, senza saperle contestualizzare, senza poter imparare ad usare il filtro dell’analisi, della critica per arrivare finalmente e concretamente a capire. Combattere l’analfabetismo funzionale significa dotarsi di tutti i mezzi per sapersi muovere consapevolmente nel quotidiano, per osservare e non solo vedere, ascoltare e non solo sentire, comprendere e non solo capire, essere e non solo sembrare.