(Adnkronos) – Smart working addio nel settore privato. Oggi, domenica 31 marzo, è infatti l’ultimo giorno di lavoro da remoto anche per genitori con figli minori di 14 anni e lavoratori fragili. Bocciato l’emendamento al decreto milleproroghe per estendere ulteriormente la scadenza, da domani 1° aprile si tornerà tutti, senza alcuna distinzione, in ufficio.
Resta aperta tuttavia la strada degli accordi individuali tra azienda e lavoratori: lo smart working potrà essere infatti concesso dal datore di lavoro in base a esigenze aziendali. “Io credo che non si deve generalizzare sull’uso dello smartworking, ci saranno persone che dall’1 aprile subiranno questa decisione e altri invece che vivranno meglio il ritorno totale in presenza.
Il tema dello smartworking, però, non deve essere liquidato come un tema di emergenza, ma dovrebbe far parte di una riorganizzazione complessiva in cui si tiene conto delle esigenze del lavoratore e del datore. Deve essere una delle opzioni, concordata e programmata. Diciamo che l’optimum è una forma mista, in presenza e in remoto”.
Commenta così David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop), facendo il punto per l’Adnkronos Salute sugli effetti che lo stop allo smartworking per legge potrebbe avere su quanti non ha raggiunto un accordo con l’azienda. “Rispetto a quello che noi abbiamo potuto osservare – prosegue Lazzari – mantenere un certo livello di presenza all’interno dei contesti lavorativi è un fatto importante. Ma non c’è una risposta netta alla domanda ‘meglio smartworking o tutti in ufficio?’, non è un sì o no. Mentre si deve tener conto che oggi il lavoro da remoto deve essere una opzione offerta al lavoratore. Si può pensare magari – suggerisce – a metà giorni in presenza e l’altra meta a casa. Abbiamo bisogno flessibilità per le esigenze psicologiche del lavoratore, ma al contempo anche nel rispetto delle scelte delle aziende”.
Dal primo aprile “serve un accompagnamento che faccia sì che le persone che rientrano da un lungo smartworking non siano gravate dai cambiamenti che troveranno. Magari questo passo dovrebbe essere preceduto da una valutazione organizzativa delle possibili difficoltà psicologiche individuali che possono intervenire. Quindi il consiglio è di predisporre delle azioni di mitigazione rispetto ad un ritorno in presenza con colleghi magari nuovi”, sottolinea quindi all’Adnkronos Salute Franco Amore, psicologo del lavoro dell’Ordine degli psicologi del Lazio.
Ma quali sono gli aspetti positivi dello smartworking? “Chi ci metteva tanto tempo per raggiungere la propria sede di lavoro è contento di non dover passare ore in macchina o sui mezzi pubblici – spiega Amore -. Abbiamo riscontrato che lo smartworking è riuscito a tenere alta la produttività delle aziende anche durante un’emergenza come è stata la pandemia Covid. E poi l’effetto positivo è nella maggior conciliazione del binomio vita-lavoro, perché” il modello smart “permette a chi deve gestire figli e anziani di star loro più vicino. Poi c’è un aspetto interessante.
Le aziende – osserva lo psicologo del lavoro – risparmiano sul numero delle postazioni nei propri edifici e consumano meno energia. Un altro aspetto notevole è la flessibilità oraria, che porta anche a ridurre l’inquinamento perché si usano meno le auto. Infine, le persone stanno meglio perché gestiscono il loro tempo e cala lo stress collegato a far coincidere i due mondi, casa e lavoro”. Non tutto è oro quello che luccica, però. Ci sono anche aspetti negativi.
“Lo smartworking non può essere per tutti – evidenzia Amore – Chi è a contatto con il pubblico, chi deve svolgere una prestazione in presenza, gli operatori sanitari ad esempio, non possono accedervi. Molto dello smartworking è legato alla decisione del singolo dirigente e non solo a livello apicale, mi spiego: ci sono attività che sarebbe utilissimo che fossero fatte da remoto, ma si rientra nella contrattazione tra lavoratore e azienda e quindi rimanda alla decisione. Ebbene, c’è il rischio che, se non c’è una sufficiente definizione di cosa è smartworking, ci sia troppa discrezionalità del manager.
Poi c’è il nodo dell’attrezzatura per lavorare da remoto che non deve essere del dipendente, così come la connessione. E poi i limiti orari: spesso si lavora di più, con carichi di stress maggiori che entrano con la commistione tra vita e lavoro perché si è sempre connessi. O può accadere che da remoto non ci sia la giusta interfaccia con gli altri: manca una supervisione, ad esempio”. “Per questo, ora che dal primo aprile in molti rientreranno in azienda, è necessario ritrovare lo spirito di squadra, fare team building con gli altri colleghi, riappropriarsi della socialità sul luogo di lavoro”, conclude lo psicologo del lavoro.
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