Dopo l’inaugurazione di venerdì al Museo MADRE con l’anteprima del documentario di Fabio Mauri, Ritratto a luce solida (realizzata da GoodDay Film in esclusiva per Sky Arte HD), il Festival Sky Arte è entrato nel vivo a Villa Pignatelli nella giornata di sabato 6 maggio, grazie ad una serie di incontri, masterclass e presentazioni. Ad aprire il secondo giorno di manifestazione è stata la presentazione del nuovo film d’animazione della Mad Entertainment (già sviluppatrice del cartone “L’ Arte della Felicità”), “La Gatta Cenerentola”, progetto ispirato alla celebre favola di Giambattista Basile ma ambientato in una Napoli contemporanea e riletto in chiave cupa e noir. Alla masterclass hanno partecipato i quattro registi del film (Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Alessandro Rak e Dario Sansone) e il produttore Luciano Stella, capo della factory napoletana.
Il film è stato definito da Stella “una produzione artistica di grande qualità”, un “piccolo miracolo” italiano (e, in particolare, napoletano) e una vera e propria eccezione di un mercato nostrano che punta molto poco alla realizzazione di film d’animazione, importanti “componenti del mercato del cinema mondiale” appartenenti ad un “mondo dal linguaggio straordinario di genere familiare e complessivo”. Grazie al lavoro dei quattro registi-”cavalieri” della Mad, il progetto, “un prodotto di alta qualità con un budget limitato”, si offre ad una “sfida impossibile”: entrare a far parte del vasto universo di animazione, esprimere il suo potenziale “tecnico, artistico e creativo” e la sua natura di “creazione collettiva” e poter dire la sua in un settore cinematografico nel quale l’Italia risulta “più che un fanalino di coda”.
Come raccontato dai registi, il loro obiettivo era quello di “riprendere la favola classica nella sua struttura base”, “studiare l’archetipo della versione” di Basile e i suoi elementi innovativi e trovare al suo interno dei “punti cardine che non ritornavano in altre versioni”. Tramite una trasformazione e una contemporaneizzazione, la Cenerentola napoletana, all’interno della quale si analizza “la condizione di umiliazione e desiderio” che ribalta anche la concezione “salvifica del matrimonio”, mostra la protagonista Mia come un’eroina (e omicida della sua prima matrigna) in un contesto “gotico” a cavallo di due epoche (metà “della luce” e “della cenere”) che tramuta l’elemento magico in quello della tecnologia in disuso. Allo stesso tempo, la storia presenta altri due personaggi che, seppur inseriti in una “struttura drammaturgica classica, sobria e pù facile da seguire”, sovvertono i caratteri della favola classica: Vittorio Basile (chiaro omaggio all’autore campano), armatore e scienziato ipertecnologico che ha un progetto futuristico per Napoli, e “’o rre” Salvatore Lo Giusto, ex cantante neomelodico e boss della malavita partenopea, pronto a stare sempre al centro dell’attenzione e smanioso di “di sfruttare altre potenzialità” della città “come droga e riciclaggio di denaro sporco”.
Al progetto, sempre in continua “evoluzione” grazie agli apporti recitativi dei suoi protagonisti, hanno preso parte importanti personalità del cinema italiano e napoletano come Massimiliano Gallo (che ha prestato voce e movimenti all’antagonista), Mariano Rigillo (interprete di Basile), Alessandro Gassman (Primo Gemito, guardia del corpo della giovane Mia e “principe azzurro”) e Maria Pia Calzone (Angelica Carannante, matrigna di Mia, promessa sposa di Vittorio Basile ma in realtà compagna di Salvatore Lo Giusto, del quale è inconsapevolmente vittima). Come specificato da Marino Guarnieri, lo stile grafico ed estetico del film (nel quale confluiscono più elementi) nasce dall’esperienza di Alessandro Rak e dalla contaminazione di tutto il team, formato “da anarchici costruttori” che, come suggerito da Stella, hanno intrapreso una “sfida strana”: quella di realizzare il film con un software open source, scelta che ha suscitato la naturale curiosità di molte case di produzione. Con il software, come dichiarato da Cappiello, è stata creata una “casa delle bambole con ambienti veri” nei quali far girare i 150 personaggi liberamente (e con diversi cambi d’abito) e si è puntato alla realizzazione 3d di scenografie dipinte manualmente. Allo stesso tempo la motion capture ha permesso ai realizzatori di “catturare i movimenti dei personaggi”, “vedere il film” e coordinarsi con più facilità.
L’ultimo intervento è stato quello di Dario Sansone, disegnatore e regista del film nonché cantante dei Foja, che, prima di offrire al pubblico una breve esibizione, ha riferito come il film sia “ricco di musica”, sia caratterizzato da una “narrazione che parte dalla tradizione e si sposta nel moderno” e racconti “musicalmente la nostra cultura”. Oltre alla rivisitazione di canzoni classiche napoletane (come Era de Maggio e Ij te voglio bene assai) e alla colonna sonora originale di Luigi Scialdone, il progetto ha previsto i contributi di diversi artisti napoletani come Francesco Di Bella (ex cantante dei 24 Grana), Enzo Gragnaniello, Daniele Sepe, i Virtuosi di San Martino e gli stessi Foja.
Dopo l’intrusione del pazzariello, è stato il turno dell’incontro “Etica ed Estetica della Pizza nell’era delle reti”, al quale sono intervenuti il Professor Alex Giordano (Federico II), il Professor Adam Arvidsson (Università degli Studi di Milano), lo chef stellato Gennaro Esposito, Pina Caliendo (una giovane ricercatrice che, con altri suoi colleghi, ha preso parte alla ricerca del prof. Giordano) e quattro dei principali simboli dell’eccellenza della pizza napoletana: Gino Sorbillo, Guglielmo Vuolo, Antonio Starita e Attilio Bachetti. In occasione dell’evento, è stata analizzata la comunicazione della pizza italiana e napoletana all’interno dei principali social network, grazie allo studio di Etnografia Digitale al quale hanno contributo giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Sociali che hanno avuto la possibilità di lavorare su dati digitali concreti e di eseguire un “percorso di ricerca” che, come evoluzione delle scienze sociali, “va oltre il marketing” e sviluppa un metodo utile per capire “non cosa succede in rete” ma “cosa succede nella vita in generale” . Utilizzando dati Big Data, l’obiettivo del progetto è stato quello di “individuare percorsi tematici” per capire “quale fosse la categoria discorsiva nella quale giravano discorsi relativi alla pizza”. Gusto, servizio, socialità, salute e storia sono alcune delle componenti relative al fenomeno-pizza e ai suoi flussi discorsivi, utili per analizzare il veicolamento dell’immagine del cibo più famoso al mondo.
A tal proposito il professor Giordano ha pubblicamente elogiato il lavoro dei quattri imprenditori-pizzaioli presenti in sala, esaltando il loro “entusiasmo non superficiale ma consapevole”, la dimensione etica del loro lavoro (“contributo collettivo all’immaginario di Napoli”) e la loro volontà di puntare su un’immagine schietta e sincera della pizza, che si rifà ad un “#Foodlove” lontano dall’appiattimento e dall’omologazione del fenomeno “#Foodporn”. Sorbillo, Vuolo, Starita e Bachetti, non a caso, sono membri di un gruppo non formalizzato chiamato “One Pizza”, che ha come obiettivo quello di passare il testimone a nuove generazioni e puntare su un passaggio generazionale, senza perdere di vista la tradizione dal quale provengono. Come specificato da Bachetti, il loro obiettivo è quello di stabilire una comunicazione che li aiuti a crescere e a vedere al di là, oltre a puntare sempre su prodotti di qualità per i loro ingredienti. Gennaro Esposito, dopo aver analizzato brevemente la naturale contrapposizione tra tradizione e innovazione, ha riconosciuto come la rete abbia “avuto il merito di appianare differenze di comunicazione tra nord e sud”, permettendo una vera e propria rivoluzione in atto da quasi 20 anni e dando la possibilità di lottare per una battaglia di appartenenza della pizza (non ancora vinta) contro il colosso americano. Una battaglia che, come conferma Starita, unisce innovazione, storia e salute, puntando su una qualità che non snaturi il prodotto e che permetta di esportare un concetto di effettiva ”varietà”.
In uno dei panel successivi, lo scrittore Carlo Lucarelli ha offerto al pubblico una puntata versione live di Muse Inquietanti dedicata al celebre trombettista jazz Chet Baker e alla sua vita, costellata da eventi al limite dell’ordinario e contraddistinta da droghe, eccessi e rivincite. Le storie, secondo Lucarelli, sono infinite e quelle degli artisti raccontati all’interno del suo programma sono“piene di cose eccezionali”. Gli scrittori prendono le vite eccezionali di questi personaggi e selezionano alcuni elementi “che servono per creare un certo tipo di emozioni”. Alla base della scrittura di Lucarelli c’è, infatti, un senso dell’intrattenimento basato sul “non immaginerete mai cosa è successo oggi”, che potrebbe essere utilizzato anche da un bambino per raccontare una regolare giornata scolastica ai genitori. Scrittura e lettura che puntano a raccontare “cose eccezionali” delle vite degli artisti secondo un modello ben preciso, come raccontato da due alunne della Bottega Finzioni e da Michele Cogo, Direttore della bottega di scrittura. Gli ospiti hanno illustrato al pubblico come si prepara una puntata di Muse Inquietanti e i vari processi al suo interno (come quello di acquisizione delle informazioni, proposta, scelta, selezione e correzione – quasi sempre continua -), spiegando come l’obiettivo degli autori sia quello di dare al pubblico una “chiave di puntata” che riesca a indirizzare lo spettatore verso un determinato percorso e gli racconti solo ciò che è necessario ai fini del racconto stabilito.
Nell’ultimo panel di giornata, Manuel Agnelli, leader degli Afterhours e giudice di X-Factor, ha sostenuto una lezione-dialogo sull’identità artistico-musicale, coinvolgendo il pubblico e veicolando la sua visione sull’autodeterminazione di un artista e sulla sua capacità di trasmettere esperienze. Il cantante milanese ha dichiarato come molti esponenti della nuova generazione artistica non sappiano cosa raccontare, mancando di una “consapevolezza della propria identità” , non svolgendo un “discorso sulla personalità” e orientandosi verso una mera definizione della propria immagine (stile presentato all’esterno) a discapito di un’identità ben precisa (il modo in cui si vive). La nuova musica, secondo Agnelli, ha “poco fondo di verità” perché legata a dei media “che necessitano una certa velocità e sintesi e puntano molto sull’immagine”. L’artista non dovrebbe “pensare a come le cose verranno accolte” ma indirizzare se stesso verso la ricerca di una completa libertà “a livello creativo e artistico”, stimolando una curiosità che non dipenda dall’insegnamento di qualcun altro. Analizzando l’excursus artistico di David Bowie, la sua capacità di reinventarsi e la sua evoluzione artistico-musicale, il leader degli Afterhours ha indirizzato il suo discorso sull’”avere qualcosa da dire” e sulla capacità di esprimere con sincerità se stessi, definendo Napoli una città che, proprio a causa della mancanza di specifiche infrastrutture artistiche – contrariamente a ciò che succede a Milano -, rappresenta un luogo nel quale girare apertamente numerose libertà artistiche.
Libertà creative lontane dalla tipica cultura scolastica e non sempre efficaci, libertà sempre più rare in un panorama (quasi) desolato come quello italiano. Pur non rinnegando la sua esperienza a Sanremo, Agnelli dichiara come la kermesse ligure sia stata un megafono utilizzato per annunciare la presenza di realtà musicali (indipendenti) forti e per provare a legittimarle in un ambiente che, come prevedibile, non aveva intenzione di comprendere la sua musica.
Noi di Cinquecolonne abbiamo posto, durante l’incontro, una domanda a Manuel Agnelli.
Hai detto che X-Factor può fungere da mezzo per farsi conoscere ma sappiamo che molti artisti, dopo un talent, vengono snaturati e perdono la loro identià. Non credi che tu, lavorando in un talent, possa spingere un artista a perdere la propria identità e a diventare un prodotto usa e getta?
“C’è un lato che è personale e riguarda me, come la visuale che voglio rappresentare, e poi c’è un lato che vuol dire rappresentare qualcosa per la musica e, quindi, spingere musicisti invece che altri o una visione musicale invece che un’altra. Innanzitutto vorrei chiarire che i problemi che ci sono al di fuori (come il fatto che alcuni spariscano, cambino completamente identità, non si riconoscano o non funzionino) riguardano i musicisti non nel talent, ma dopo. Io credo che ci saranno delle novità non piccole nelle prossime edizioni di X-Factor. Ci siamo un po’ resi conto di questo: c’è un megafono incredibile che, alla fine, produce molto meno di quello che potrebbe produrre perché strutturato come spettacolo televisivo; potrebbe essere una piattaforma musicale vera e propria con la produzione davvero della musica e non soltanto uno spettacolo televisivo che parla di musica. Sul fatto di snaturare le persone: sì, molte persone si snaturano. Sono per la maggior parte adulti e consenzienti e questa è una cosa che dovrebbe far ragionare: io non mi sarei mai fatto snaturare, io non mi sono fatto snaturare. Non ci sono andato quando sapevo di non poter essere completamente libero. Diciamo che c’è una voglia di arrivare all’obiettivo, diventare famosi, che è molto più grande della consapevolezza del sé, è molto più grande e forte della propria identità. Io non ce lo vedo Bruce Springsteen che canta i pezzi di Nicki Minaj. Anche questo fa parte della forza della personalità di un artista: di non farsi manipolare in quella maniera. Secondo me, se vuoi esprimere la forza della personalità di un certo tipo, ti possono spingere in un senso più che in un altro ma non ti cambieranno come persona. Bene o male, fa parte della seleziona naturale anche quello. Chi viene manipolato, probabilmente, merita di essere manipolato.”