Canta Partenope nel mare del Golfo che ha eletto a dimora. Canta e il mondo se ne delizia. Ogni primavera si affaccia tra le onde e incanta col suo canto gli abitanti delle rive.
Abitanti che per ringraziarla, le offrono quel che hanno, frutti del lavoro della terra e della cura degli armenti. Sette tra le più belle fanciulle dei villaggi del Golfo, le portano in dono: le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero bollito nel latte, omaggio dei due regni della natura, vegetale e animale; l’acqua di fiori d’arancio, che è il profumo della terra campana; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l’universo.
La Sirena gradisce i doni ma non li tiene per sé.
Torna nel suo regno marino, li depone ai piedi degli Dei i quali rapiti anch’essi dal suo canto, mischiano i doni e li trasformano nella prima “pastiera” che gareggia in dolcezza col canto stesso di Partenope.
A questo racconto mitologico si fanno risalire le origini della pastiera che insieme agli struffoli (dei quali parleremo all’avvicinarsi del Natale) rappresentano il più caratteristico dolce napoletano delle feste.
Pochi dolci come la pastiera, racchiudono in se, tanti significati, mistici e misterici e pochi dolci rappresentano in maniera così compiuta il rapporto tra il “dolce” e il ” divino“
Le feste, la celebrazione del sacro e i dolci costituiscono un legame insostituibile e segnano lo scandire del tempo, il rincorrersi delle stagioni, come una precessione di equinozi.
Dolce è l’Ambrosia degli Dei e dolce è il premio di Sansone e quando uccide il leone e si ciba del miele del favo da esso ingoiato, dolce è il miele del quale si cibano i gemelli Gemelli Indiani Ashvin, messaggeri degli Dei, che mangiano miele nel cielo mattutino . Dolce infine è l’arrivo delle feste, attese come fine di un percorso penitenziale e tale erano fino a pochi decenni fa.
In tempi in cui l’accesso a zuccheri e dolcificanti non era alla portata di tutti, non meraviglia che i dolci uscissero in copioso numero solo dai Monasteri e chissà se non sia una sapienza sacerdotale o monastica a essere tramandata di voce in voce fino a giungere a noi.
Una vulgata recente, fa nascere la pastiera dalla sapienza delle monache di uno dei Monasteri di San Gregorio Armeno, possiamo leggere questo come una semplice trasmigrazione di riti e offerte dal mondo pagano a quello cattolico. Ma già la tradizione aveva accantonato l’offerta alla sirena per una più prosaica offerta al ” mare ” che portasse in salvo alcuni pescatori in difficoltà. Lo stesso mare che si incarica di mescolare i doni e far nascere una pastiera.
Di fatto pochi altri dolci, contengono in se tanta storia e segni del divino a partire dagli ingredienti che rappresentano ognuno, una caratteristica di questi luoghi.
Pochi dolci, hanno così forte il profumo di antico.
La pastiera arriva davvero dalla profondità del tempo. Insieme agli struffoli e alla sfogliatella, ci parla di offerte alla Grande Madre. Nei templi dedicati a Demetra e Cerere, venivano offerti dolci in forma triangolare, simbolo del sesso femminile del tutto simili alla sfogliatella per celebrare la fertilità dei campi, degli armenti e delle donne.
Gli struffoli, invece, nella forma, nella composizione e negli ingredienti sono così simili all’appellativo che si attribuiva al Bambinello nascente, definito “roccia di miele“.
La pastiera quindi come dolce che celebra il ciclo della vita, che torna a rivivere dopo il gelo e la “morte” invernale. Ed è così che si presenta nelle case napoletane, che nei giorni della settimana santa, sfornano pastiere a profusione soprattutto il giovedì santo. Quando dopo lo struscio e il giro delle sette chiese e dell’omaggio ai sepolcri, dopo la tradizionale zuppa di cozze, anticipa il profumo della Resurrezione, omaggiando terreno e divino in un solo gesto che taglia la pastiera e ne gusta gli ingredienti e la tradizione continua…