In un rapporto, Amnesty International ha denunciato che in Sierra Leone migliaia di alunne incinte, escluse dal sistema scolastico principale e dagli esami, rischiano di essere lasciate indietro proprio mentre il paese sta uscendo dalla crisi del virus Ebola.
In vista della prossima sessione di esami, previsti il 23 novembre, Amnesty International sta chiedendo al governo di ritirare il provvedimento.
“Escludere le alunne incinte dal sistema scolastico e impedire loro di fare gli esami è discriminatorio e avrà conseguenze devastanti. L’istruzione è un diritto, non qualcosa che il governo può negare arbitrariamente come punizione” – ha dichiarato Sabrina Mahtani, ricercatrice di Amnesty International sull’Africa occidentale. “Proprio mentre la Sierra Leone esce dalla gravissima crisi di Ebola, è fondamentale che queste alunne non vengano lasciate indietro”.
Il 2 aprile il ministro dell’Istruzione, della scienza e della tecnologia aveva dichiarato che alle alunne incinte non sarebbe stato consentito di frequentare le scuole, per proteggere “le ragazze innocenti” da influenze negative. Questa motivazione ha rafforzato lo stigma nei confronti delle alunne incinte, attribuendo loro colpa e vergogna.
In alcune scuole, come documentato da Amnesty International, il divieto è stato applicato attraverso trattamenti umilianti e degradanti, tra cui controlli ed esami medici. Vi sono stati casi in cui gli insegnanti hanno palpato il seno e la pancia delle alunne per verificare se fossero o meno incinte. Altre sono state costrette a fare il test di gravidanza.
Per realizzare il suo rapporto, Amnesty International ha intervistato 52 alunne. Alcune hanno dichiarato di aver avuto paura di venire accusate di essere incinte. Altre hanno descritto l’umiliazione provata mentre venivano toccate per verificare se fossero o meno incinte.
Una ragazza di 18 anni ha raccontato di essere stata toccata dagli insegnanti, insieme alle compagne di classe, prima di essere ammessa agli esami: “Ci toccavano il seno e la pancia per capire se eravamo incinte. Ad alcune è stata fatta fare l’analisi delle urine. Un’insegnante si è messa i guanti e poi ha iniziato a palparci. Mi sono sentita imbarazzatissima. Molte hanno rinunciato agli esami perché temevano che sarebbe stata scoperta la loro gravidanza. Una dozzina non si è presentata agli esami”.
Questo modo di “verificare” la gravidanza, seppur non autorizzata dal governo, è assai diffuso. Amnesty International sta chiedendo al governo di emettere una direttiva urgente che vieti tali trattamenti umilianti e degradanti.
Alla fine del mese di ottobre, grazie a un contributo dei paesi donatori (soprattutto Irlanda e Regno Unito), sono state istituite classi alternative per le alunne incinte. Il finanziamento è previsto fino a luglio 2016.
Il governo sostiene che circa 3000 alunne incinte si siano iscritte a queste classi. Amnesty International, però, sottolinea che le lezioni si svolgono in luoghi od orari diversi rispetto alle classi principali e che comunque non sarà risolto in questo modo il problema del divieto di fare gli esami. Esperti locali hanno evidenziato in chiave critica la mancanza di scelta e l’effetto stigmatizzante derivante dalla continua esclusione dal sistema scolastico principale.
Alcune delle alunne intervistate da Amnesty International si sono dichiarate favorevoli alle classi alternative, altre avrebbero preferito rimanere nelle classi principali.
Secondo Amnesty International, l’iscrizione alle classi alternative dovrebbe essere non un obbligo ma un’opportunità per le alunne che non intendono proseguire le lezioni nelle classi principali, e ciò dovrebbe essere riconosciuto tanto dal governo che dai paesi donatori; in ogni caso, la qualità e i contenuti dell’insegnamento dovrebbero essere di pari livello.
“Le ragazze incinte vengono riempite di colpa e vergogna. In questo modo, vengono loro negate enormi opportunità per fare passi avanti nella loro vita ed evitare che una gravidanza precoce resti l’unico evento a determinare il loro futuro” – ha sottolineato Mathani.
“Mentre il paese sta uscendo dalla crisi di Ebola, le ragazze incinte che abbiamo incontrato ci hanno detto che vogliono contribuire alla ripresa del loro paese. Molte vogliono diventare infermiere, dottoresse, avvocate e in Sierra Leone c’è un disperato bisogno di queste professioni. Ma se la loro esclusione dal sistema scolastico principale e il divieto di fare esami proseguiranno, quei sogni non li vedranno realizzati” – ha concluso Mathani.
Ulteriori informazioni
A seguito della crisi del virus Ebola, che ha devastato la Sierra Leone dal marzo 2014 ed è proseguita nel 2015 colpendo ogni settore della popolazione ma soprattutto i gruppi già emarginati come le ragazze, il governo ha decretato la chiusura delle scuole da giugno 2014 ad aprile 2015: un provvedimento preso per contrastare la diffusione del contagio.
Durante questo periodo c’è stato un aumento delle gravidanze precoci, in buona parte dovuto all’assenza di protezione dalla violenza sessuale. La quarantena e un sistema sanitario già allo stremo hanno comportato per molte ragazze l’impossibilità di ricorrere ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva e alle informazioni su come evitare gravidanze precoci e non desiderate.
Lo stesso ministro dell’Istruzione, della scienza e della tecnologia ha ammesso che durante la crisi di Ebola le gravidanze precoci sono aumentate. Secondo dati ufficiali, le ragazze colpite dal divieto di frequentare le scuole e di fare gli esami sarebbero 3000 ma gli esperti locali stimano siano circa 10.000.
L’educazione sessuale è stata esclusa dai programmi scolastici oltre 10 anni fa, alla fine della guerra. Già nel 2004, la Commissione per la verità e la riconciliazione aveva raccomandato al governo di porre fine alla prassi di escludere dall’istruzione le ragazze incinte, definendola una pratica “discriminatoria e arcaica“.
Alla riapertura delle scuole e dopo la dichiarazione del ministro dell’Istruzione, della scienza e della tecnologia, il tema è tornato al centro del dibattito. Secondo la Commissione per i diritti umani della Sierra Leone, il divieto è discriminatorio, stigmatizzante e favorisce l’ulteriore marginalizzazione delle ragazze e delle donne incinte.