Sempre ho amato, preferito, cercato questa dimensione. Un rifugio, un benessere, un *luogo *sentito molto mio dove pensare, osservare meglio, capire ed assaporare ció che c’è intorno a me. L’ ho cercato ed atteso per me, solo per la mia persona, contemporaneamente alla accettazione delle parole, quelle belle e buone, costruttive e consolatrici che ho ascoltato ed insieme rivolto agli altri. Un mix, un equilibrato mix, voluto col cuore e con la mente, da usare come via di umana corrispondenza all’occorrenza. Ho amato tanto il silenzio fino ad impormelo razionalmente, in situazioni scomode o quando non volevo dare più di tanto spiegazioni a persone estranee che mostravano vana e sciocca curiosità. Il mio silenzio ha radici antiche, l’ho appreso da mia madre, china, genuflessa in camera sua, davanti ad una icona a dire preghiere o a capo chino intenta al suo lavoro di sarta, per non distrarsi.
Nel silenzio d’un flash improvviso d’ispirazione, ad un solo volare d’una foglia forse o al passaggio di uno stormo danzante di uccelli, al rifrangersi del mare in inverno e perfino nell’ultima carezza al viso gelido di mia madre, mi son sorte parole dentro, a fiumi, che ho portato fuori, senza voce, impresse su fogli bianchi che ancora, in silenzio, continuano a parlare.
Altri silenzi non conosco, nè condivido, quelli degli omertosi, di chi tace per nascondere verità, ma questi non mi appartengono.
Il “silenzio” più intimo, peró, della mia vita, quello che ho amato di più, è stato quello della scoperta dell’Amore, quelle parole non dette, affidate deliziosamente ad altro, delegate agli occhi, al sorriso, alle mani. Il corpo ha fatto da interprete. Conosceva… tutte le lingue.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine