Nuovi indizi su come un buco nero si nutre. Un nuovo metodo permette di realizzare un modello del disco di accrescimento che alimenta il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, denominato Sagittarius A*.
A realizzarlo, un team di scienziati USA della Princeton University e del Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL) presso il Department of Energy (DOE), che ha pubblicato i risultati della ricerca su Physical Review Letters.
Secondo le teorie cosmologiche più accreditate, molte galassie ospitano al centro buchi neri supermassicci, il cui ruolo, secondo gli esperti, è stato fondamentale per la formazione stessa delle prime galassie e per disegnare l’architettura dell’Universo bambino.
Gli scienziati USA si sono, in particolare, concentrati su una regione di confine del buco nero supermassiccio della nostra galassia, il disco di accrescimento. Una nuvola di plasma, gas ionizzato, che orbita intorno al buco nero, prima di precipitare vorticosamente nelle sue fauci, sparendo oltre il cosiddetto orizzonte degli eventi, al di là del quale la materia non riesce più a sfuggire all’intenso abbraccio gravitazionale del mostro cosmico.
È proprio questa materia del disco di accrescimento che, nell’atto di essere ingoiata dal vorace cannibale, permette agli scienziati di rivelarne la presenza. Prima di superare le colonne d’Ercole rappresentate dall’orizzonte degli eventi, infatti, emette radiazioni elettromagnetiche tra le più intense ed energetiche del Cosmo.
Gli scienziati si sono accorti che Sagittarius A*, la cui massa è all’incirca quattro milioni di volte quella del Sole, emette meno radiazione di quanto ci si aspetterebbe data la sua mole. “Nel nostro studio ci siamo chiesti come mai il suo disco di accrescimento sia così quiescente”, spiega Matthew Kunz, coordinatore del team USA.
La risposta, secondo gli autori, è contenuta nella natura stessa del disco di accrescimento del buco nero ospitato al centro della Via Lattea. Un disco, sottolineano gli scienziati, in cui il plasma è così caldo e diluito che al suo interno le traiettorie di protoni ed elettroni raramente s’intersecano. Rendendolo, così, meno radiativo e luminoso.
“Lo scopo del nostro nuovo metodo – conclude Kunz – è realizzare modelli più predittivi delle emissioni del disco di accrescimento nel centro galattico, in modo da poterli confrontare con le osservazioni sperimentali”.
Come quelle del telescopio spaziale a raggi X della NASA Chandra, o del progetto dell’Event Horizon Telescope, un network di radiotelescopi dislocati in varie località del Pianeta, per studiare direttamente proprio Sagittarius A*, i cui primi dati potrebbero essere raccolti già nel 2017.