Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO): questa la proposta di Zaia per chiunque esprima il rifiuto delle cure per il Covid. La gestione della Fase 3 si sta rivelando sempre più complicata passando tra nuovi focolai, in certa misura previsti, e atteggiamenti personali sempre più rilassati e sta trovando sempre più ostacoli di fronte a una concezione personale di privacy e di libertà.
La proposta del TSO per il rifiuto delle cure per il Covid
Privacy e libertà: quante volte in questi mesi abbiamo sentito pronunciare queste due parole. L’app Immuni sarà in grado di garantire la privacy di chi la scarica? Durante la quarantena, le restrizioni alla mobilità quanto hanno tolto alla nostra libertà? La domanda ora è: come costringere all’ospedalizzazione chi è risultato positivo al Covid? Ebbene sì, dopo mesi di terapie intensive piene, oggi si discute su come obbligare una persona che ha contratto il Coronavirus a farsi curare in ospedale. Una proposta, a tal proposito, è giunta dal governatore del Veneto Luca Zaia dopo che un imprenditore locale, risultato positivo al Covid, ha rifiutato la degenza in ospedale e non ha rispettato la quarantena. La sua vita “normale” lo ha portato a diversi impegni sociali (quindi a contatti con altre persone), salvo poi peggiorare e finire, stavolta in gravi condizioni, in una di quelle famose terapie intensive. La proposta di Zaia fa riferimento al TSO per contrastare i nuovi focolai di Covid. Il ministro della Salute Speranza ha accolto l’appello di Zaia e si è impegnato a verificare la normativa in vigore.
TSO e reato di epidemia
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un protocollo di cura che non prevede il consenso dell’interessato. Per attuarlo è necessario che il soggetto in questione sia in uno stato psicofisico alterato, rifiuti le cure e che non siano attuabili cure extraospedaliere. La prassi, infatti, è spesso adottata in caso di disturbi psichici. E’ chiaro, quindi, che se il soggetto, che in questo caso rifiuta il ricovero per il Covid, è in uno stato psicofisico normale, questo protocollo non è attuabile. Esiste, però, il reato di epidemia regolato dal nostro Codice penale. Se un soggetto nel quale è stata riscontrata la patologia, come in questo caso, si oppone al ricovero, viene piantonata. Chi contribuisce alla diffusione dell’epidemia attraverso la trasmissione degli agenti patogeni è passibile di una pena che va dagli 8 anni di carcere all’ergastolo.
App Immuni
E mentre si ragiona su soluzioni più o meno estreme, arrivano i primi dati sull’app Immuni a un mese dalla sua inaugurazione. Secondo il ministero dell’Innovazione, a oggi l’app sarebbe stata scaricata da poco più di 4 milioni di italiani, meno del 10 % della popolazione totale. Un numero raggiunto nella fase di lancio e in concomitanza con la diffusione di notizie su nuovi focolai. Nonostante le continue rassicurazione sul rispetto della privacy, questo sistema di tracciamento, che doveva accompagnarci nella delicata fase della convivenza con il virus, non ha riscosso il successo auspicato.