(Adnkronos) – L’omicidio di Serena Mollicone richiama quello di Marco Vannini. A tracciare il parallelo, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Roma, è il sostituto procuratore generale Deborah Landolfi nel corso della requisitoria del processo per l’omicidio della 18enne di Arce uccisa nel 2001 facendo riferimento all’obbligo di “garanzia e di protezione dei titolari dell’abitazione nei confronti di persone da loro ospitate che si trovino in pericolo di vita”. Il pg spiega che nell’omicidio Vannini “il giovane era ospite in casa della fidanzata quando viene ferito da un colpo di arma da fuoco sparato dal padre della ragazza (Antonio Ciontoli, ndr.) e poi lasciato morire senza chiamare adeguati soccorsi”.
Serena Mollicone e le similitudini con l’omicidio Vannini
“L’obbligo di garanzia sorge per il titolare di un’abitazione quando ospita una persona che viene a trovarsi in una situazione di pericolo – chiarisce – proprio perché trovandosi nella sua abitazione era in un posto, dove nessun altro poteva entrare”. “Marco ha messo in pericolo la vita di Serena in un appartamento, dove solo i Mottola potevano accedere e avevano l’obbligo di intervenire – come scrivono i sostituti procuratori generali Deborah Landolfi e Francesco Piantoni nella memoria conclusiva -.
Entrambi i genitori e lo stesso Marco avevano l’obbligo di garanzia di prestare soccorso alla ragazza che era entrata nell’abitazione di cui solo essi avevano la disponibilità e ciò non hanno fatto, anzi hanno voluto nascondere quanto era successo per evitare conseguenze penali ai danni del figlio. Ma, in questo caso, hanno anche deciso di soffocare la ragazza e quindi di ucciderla deliberatamente, per poi far sparire il corpo e ogni traccia’’. “Ritengo che la povera Serena sia stata uccisa da tutti e tre i componenti della famiglia Mottola in concorso tra loro, Marco l’ha sbattuta contro la porta e tutti e tre l’hanno soffocata con il nastro adesivo”.
La ricostruzione dei fatti
Così il sostituto procuratore generale Deborah Landolfi durante la requisitoria del processo di secondo grado, davanti alla prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, per l’omicidio di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001. La procura generale ha chiesto 24 anni di reclusione per l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce Franco Mottola, 22 anni per sua moglie Annamaria e per il figlio Marco, l’assoluzione per Vincenzo Quatrale e quattro anni per Francesco Suprano (che ha rinunciato alla prescrizione). “Abbiamo valutato la possibilità che la condotta sia stata posta in essere solo da due componenti della famiglia e che il terzo si sia limitato ad assistere – ha detto Landolfi – In ogni caso questa persona dovrà rispondere di omicidio con condotta omissiva perché sapeva cosa stava avvenendo e non ha fatto nulla per salvare Serena”.
Secondo quanto ha ricostruito il sostituto procuratore “alle 11 Serena va in caserma a trovare Marco, c’è anche Franco Mottola, tornato alle 10 dalla festa dell’Arma, e c’è la moglie Annamaria, come risulta da diverse telefonate”. “Alle 11.30, dopo una lite con Marco Mottola, la ragazza viene spinta contro la porta e prende il colpo alla testa ma morirà tra le 13 e le 21. Sappiamo che è morta perché è stata soffocata e che è rimasta li’ tramortita e non ha più ripreso conoscenza. Quando Marco ha visto la ragazza priva di sensi si sarà spaventato – ha continuato Landolfi – non possiamo escludere che abbia chiesto aiuto ai suoi genitori che si trovavano in caserma”.
Le responsabilità dei carabinieri
“Alle 12 Marco Mottola viene visto in piazza da Davide Bove – ha proseguito nella ricostruzione- pur dopo aver spinto Serena lui esce di casa e va in piazza. Conta sul fatto che altre persone assumano l’iniziativa su cosa fare di questa ragazza”. “Lui esce e in casa rimangono i genitori sappiamo che la ragazza rimane lì’ senza morire per diverse ore – ha detto – ore in cui i presenti hanno meditato su cosa fare”. “La giovane muore per asfissia: le vengono avvolti 15 metri di nastro adesivo intorno alla testa che le coprono naso e bocca e ne provocano la morte”.
“La condotta omicidiaria è l’imbavagliamento poi è stata legata in modo che potesse essere trasportata fuori dell’alloggio della caserma – ha aggiunto – Per fare queste manovre era necessaria la collaborazione di due persone . Per avvolgere il nastro adesivo di 15 metri attorno alla testa di una persona doveva esserci una persona che aiutava”. Franco Mottola è, ha detto il sostituto procuratore Landolfi, “la persona che ha tenuto il comportamento più grave perché era il comandante della stazione dei carabinieri e avrebbe dovuto prendere per primo le iniziative per evitare che questa ragazza morisse”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)