La fiducia negli altri e la totale disponibilità, talvolta lungi dal farci ottenere delle risposte relazionali commisurate al nostro comportamento, generano l’effetto contrario: ci rendono oggetto di chi di noi vuole esclusivamente approfittare. Tutto quello che gira dunque intorno alla bontà, in contesti lavorativi, sentimentali e semplicemente di rapporto con l’altro, induce a riflettere.
Proprio sulla bontà, il sociologo e scrittore Francesco Alberoni apre in un suo saggio un’interessante parentesi e sembra quasi che alla fine ci distolga dall’essere buoni, asserendo che chi dona non riceve in cambio in modo proporzionale. Jenner, a cui va il merito straordinario di aver eliminato il vaiolo dal mondo, è morto amareggiato. Lavoisier, padre della chimica moderna, è stato decapitato dai rivoluzionari francesi. Semmelweis, che ha salvato le donne dalla morte puerperale, è stato spinto alla pazzia. A leggere però tra le righe, più che un monito a non essere buoni, è invece un invito a chiedersi “Perchè dobbiamo esserlo?” o meglio ancora “In che modo dobbiamo esserlo?”. Di certo la bontà non si studia a tavolino, ma bisogna saper distinguere la “falsa bontà” dalla “giusta bontà”.
La falsa bontà è deleteria perchè porta alla lunga ad una passività nei confronti dell’altro, a tal punto che non riusciamo a distinguere più quando quella che ci sembra una richiesta è invece un ordine pretenzioso. La falsa bontà inoltre produce alla lunga rabbia e frustrazione perché rende il nostro benessere secondario rispetto a quello dell’altro.
Quando la nostra serenità diminuisce, quando ci si sente infelici perché vogliamo accontentare tutti pur sapendo di voler dire/fare altro, quando le nostre azioni non vengono apprezzate e nel peggiore dei casi ci predispongono ad essere sfruttati nuovamente in futuro, abbiamo a che fare con la bontà negativa. La bontà positiva invece si caratterizza per il suo essere attiva e propositiva: essa ci pone nelle condizioni di scegliere. E così, chiedendoci in ogni situazione cosa è bene per noi, il “voglio veramente, scelgo di…” sostituisce il “devo per forza”.
Ci piace concludere con una massima letta da qualche parte e che recita, emblematicamente: “Quando dite di sì agli altri, assicuratevi di non dire no a voi stessi”. Attenzione: non è affatto una spinta in direzione dell’egoismo, ma piuttosto un’esortazione a coltivare la vera bontà. Essere buoni in primis con se stessi ci consente di non ledere la nostra libertà personale: solo così potremo aprirci consapevolmente, senza coercizioni e sensi di colpa, all’altro.