Lasciamola stare, la spiaggia di Copacabana. Lasciamo stare, questa volta, anche i poveri del Brasile, così vendibili mediaticamente con il loro corteo di miseria e sorrisi dolci, samba e futbol. Partiamo da altrove, invece.
Al centro delle proteste di San Paolo c’è stato – e ci resta – il protagonista degli ultimi 10 anni dell’economia brasiliana, un decennio che ha visto quasi 40 milioni di persone uscire da una condizione di dura povertà: il ceto medio. Insegnanti e autisti, guardiani di musei e geologi, tanti altro, molto altro. Oggi la classe media brasiliana conta 95 milioni di persone, circa la metà dell’intera popolazione. Cos’ha da protestare, allora, chi guarda al passato tirando un sospiro di sollievo?
Le ragioni sono numerose. Dire che la classe media brasiliana reclami, nel complesso, un Paese accessibile e dei servizi di qualità, all’altezza delle sua aspettative, non è certo sbagliato. Un Brasile diverso, che a volte immaginiamo spaccato solo da dicotomie di ceto – molto ricchi, molto poveri – le quali, sebbene tutt’altro che inesistenti, sono state affiancate dall’emergere di nuovi protagonisti sociali con altre esigenze, alla ricerca di un welfare ancora balbuziente.
Negli ultimi decenni il Brasile ha conosciuto notevoli trasformazioni, facendo i conti con fratture altrettanto profonde. Un esempio è sicuramente quella tra pubblico e privato. Cosa reggono quelle persone, in piazza, sui loro cartelloni? Scuole, assicurazioni, ospedali: le condizioni insostenibili della loro versione pubblica, quelle inarrivabili della versione privata.
Il Brasile presenta servizi non all’altezza della poderosa crescita registrata fino a 5 anni fa, quando il Paese ha conosciuto l’inizio di una recessione tutt’ora in corso. Come la sanità, ad esempio. A mancare non sono solo le strutture, ma anche gli stessi medici, soprattutto nelle zone rurali del Paese: 400mila per 200 milioni di abitanti, 1.8 ogni per ogni 1000 persone. In stato grave versano anche i trasporti, che spesso non consentono spostamenti in tutte le zone del Paese o lo fanno con poca efficienza e a prezzi inaccessibili.
La nazione fa i conti con i suoi problemi in senso letterale. Il costo della corruzione, ad esempio, si è rivelato nel 2013 pari a circa 53 miliardi di dollari. Secondo uno studio effettuato nel 2010 dalla Federazione degli industriali di San Paolo il costo della corruzione è compreso ogni anno tra l’1,38% e il 2.3% del PIL della nazione. Nell’insieme delle problematiche la corruzione è in buona compagnia: spreco di soldi pubblici, cattiva politica, evasione fiscale.
Quelli della corruzione, ad esempio, sono soldi che se investiti nei settori più bisognosi della società brasiliana potrebbero fare la differenza. Qualche esempio? Nell’istruzione: portando a 51 i 34 milioni di bambini che hanno accesso alla scuola elementare; nella sanità: aumentando a 694.409 gli attuali 367.397 letti disponibili negli ospedali; nell’edilizia: dando casa ad oltre 2.9 milioni di famiglie brasiliane; nei servizi: offrendo ad oltre 23 milioni di persone che una casa ce l’hanno, ma l’acqua potabile no.