Lorenzelli Arte riprende la stagione espositiva 2018/2019 esplorando quel filone di ricerca che si prefigge l’obiettivo di porre l’attenzione su nomi talvolta dimenticati in Italia, anche se presenti nei più importanti musei del mondo, per riproporli allo studio della critica e alla visione del pubblico. La mostra che inaugura giovedì 14 febbraio è dedicata a uno dei principali scultori espressionisti astratti, Herbert Ferber (1906-1991), artista di fama internazionale, già attivo nella fervente New York degli anni Quaranta e Cinquanta.
Nel 1988 la Galleria Lorenzelli, nella sede di via Sant’Andrea, ospitò la prima personale italiana di Ferber. Oggi, nell’anno in cui Matteo Lorenzelli festeggia il trentesimo anniversario di attività di gallerista, vengono riproposte le opere dell’artista nelle sale di Corso Buenos Aires 2, creando la rara occasione in Italia di poter ammirare un maestro le cui opere sono collocate nelle raccolte dei più importanti musei del mondo fra i quali il MoMa, il Whitney Museum e il Guggenheim Museum di New York, la National Gallery di Washington e il Centre Pompidou di Parigi.
La rassegna presenta venti sculture e trenta disegni realizzati tra il 1952 e il 1985, anni della piena maturità dello scultore americano, mostrando al pubblico italiano l’acme della parabola artistica di uno degli attori fondamentali della “generazione eroica” di New York. Ferber, grande amico di Rothko, al quale era legato da convinzioni comuni nell’arte e nella politica, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale fu un importante membro della New York School, il gruppo di artisti americani che ha aperto la strada all’espressionismo astratto. Come Rothko, Ferber ha manifestato un costante interesse nella mitologia classica e nell’inconscio cercando di esplorare forme archetipiche e senza tempo secondo uno dei percorsi tipici degli artisti che composero la Scuola, autentico punto d’innesco della “nuova tradizione” cosmopolita, aggressiva, dalle plurime radici ma di autentica identità americana, che si fonda sulle basi dell’avanguardia storica europea e sulla memoria dell’antico.
“Scultura come metafora di un’idea”, titolo della mostra, rappresenta un principio caro a Ferber secondo il quale la scultura deve avere la capacità di incarnare un processo mentale lucido e forte e quindi possedere valore di metafora che veicola qualità ideali astratte. Le sue sculture a partire dagli anni Cinquanta, dopo aver abbandonato completamente la figura, sono costituite da forme famigliari che vengono poi manipolate in composizioni quasi irriconoscibili.
Ferber trasforma gli elementi formali in qualità plastiche, connotate in quanto superfici modulate sensibilmente e cromaticamente attive, che al contempo valgono come grafie, linee-forza che fendono la volumetria interna della forma conferendole un nuovo dinamismo che le libera da legami gravitazionali e un senso di movimento dato dal perfetto bilanciamento di momenti e pause.
Del tutto autodidatta come artista, è riuscito ad impadronirsi magistralmente di ogni sorta di tecnica e procedimento. Anche i disegni, eseguiti in varie tecniche – dall’acquarello alla penna e all’inchiostro, dal pastello alla gouache e all’acrilico – su qualsiasi qualità di carta, ci offrono l’opportunità di una rilettura del suo lavoro. Modellando e “chiaroscurando” le forme, con l’utilizzo anche di scorci prospettici, Ferber nei suoi fogli più astratti riesce a comunicare il senso del volume e dello spazio.
Seguendo inoltre un’indagine incentrata sul percorso tra progetti, studi preparatori e opere finite, molti dei disegni esposti raccontano l’iter che porta alla realizzazione materica delle sculture presentate poiché mette in luce la fitta rete di scambi tra il processo creativo e la sperimentazione di un sistema espressivo.