Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua se n’è andato. E’ morto il 14 giugno, all’età di 85 anni ad Haifa dove si era traferito dopo la morte della moglie per stare vicino ai nipoti. Rappresentante di spicco della “New Wave” degli scrittori israeliani, le sue opere sono state tradotte in 30 lingue. Nel 1995 ricevette l’Israel Prize, il premio letterario più prestigioso in Israele, e per otto volte fu candidato al Nobel. Era famoso a livello internazionale al pari di Amos Oz e Aharon Appelfeld e ci lascia una lezione di alto valore. Una lezione di pace tra i popoli.
Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua
Abraham Yehoshua era nato a Gerusalemme il 9 dicembre 1936. La sua carriera letteraria iniziò al termine del servizio militare. Si laureò in Letteratura ebraica e Filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme e iniziò a pubblicare i primi racconti. Il suo primo romanzo, “L’amante”, uscì nel 1977, seguito da “Un divorzio tardivo” nel 1982. I più famosi furono “Il signor Mani” del 1990, “Il responsabile delle risorse umane” del 2004 da cui nel 2010 fu tratto l’omonimo film per la regia di Eran Riklis e “La figlia unica” del 2021 ambientato in Italia. Le storie di Yehoshua erano, infatti, tutte ambientate in Israele anche se le dinamiche che raccontavano avevano un carattere di universalità.
Le relazioni familiari
Al centro dei romanzi di Yehoshua c’erano sempre le relazioni familiari. Amava indagare i rapporti tra padri e figli, per esempio, e tra marito e moglie a volte con un certo psicologismo. Un’influenza certamente dovuta alla moglie Rivka, psicoanalista, con la quale era stato sposato per 56 anni e venuta a mancare nel 2016. La fotografia delle relazioni tra le singole persone si allargava, poi, alle relazioni tra interi popoli. E’ plausibile pensare che la presenza della madre, arrivata in Israele dal Marocco, abbia contribuito a questa visione anche se il nodo centrale delle sue riflessioni era la questione israelo-palestinese.
La questione israelo-palestinese
Abraham Yehoshua si è sempre espresso in maniera molto critica sull’invasione di Israele e aveva una sua teoria basata sulla memoria e l’identità. L’identità del popolo ebreo è basata più sul mito che sulla storia che, se da un lato, gli ha permesso di conservare la propria unicità anche lontano dalla patria, ha cristallizzato la sua visione di popolo odiato e per questo isolato dal resto del mondo. Atteggiamento che non ha permesso al popolo di presagire il dramma dell’Olocausto. Il sionismo, inteso come rientro del popolo ebreo all’interno di uno Stato dai confini chiari, doveva essere un avvicinamento degli ebrei alla storia, in un’ottica di scambio con gli altri popoli che non minasse l’identità nazionale. Se oggi Israele è ancora più vicina al mito che alla storia è per il suo rapporto simbiotico con gli Stati Uniti.
Per lungo tempo Yehoshua ha appoggiato l’ipotesi di due stati: Israele e Palestina. Un’ipotesi che con il passare del tempo, ha dovuto ammettere, è diventata sempre più irrealizzabile. Ha iniziato così ad auspicare la nascita di un unico stato nel quale ebrei e palestinesi potessero convivere pacificamente. Anche questa prospettiva, però, è di difficile attuazione schiacciata com’è dal peso della memoria. Per questo motivo, chiedeva a entrambi i popoli di dimenticare per fare spazio alla pace.