Un recente studio coordinato da William Rutherford dell’Imperial College di Londra, a cui ha partecipato Stefano Santabarbara dell’Istituto di biofisica del Cnr (sede secondaria di Milano), ha rivoluzionato completamente l’idea di fotosintesi clorofilliana, scoprendo un nuovo tipo di clorofilla meno comune, la clorofilla F, che non sfrutta la luce visibile, ma quella nelle lunghezze d’onda del vicino infrarosso; tale clorofilla è utilizzata da microrganismi che vivono in condizioni estreme e nell’ombra, ad esempio in alcune rocce marine australiane o nel parco americano di Yellowstone.
I risultati di questa ricerca sono stati descritti nell’articolo ‘Photochemistry beyond the red limit in chlorophyll f–containing photosystems’ pubblicato sulla rivista scientifica ‘Science’.
Per meglio comprendere l’importanza di questa scoperta e le possibili ripercussioni sulle conoscenze legate all’evoluzione del mondo vegetale e all’interpretazione delle condizioni favorevoli alla ‘vita’ (anche in ambienti extraterresti), può essere utile una spiegazione preliminare sulla fotosintesi.
Si tratta di un processo fondamentale per lo sviluppo e il mantenimento della vita sul pianeta, essendo l’unico processo biologico in grado di utilizzare una fonte di energia, la luce solare, che proviene dall’esterno nella biosfera. Inoltre, è direttamente correlata alla quantità di ossigeno presente nella atmosfera, che gli organismi fotosintetici ottengono dalla scissione dell’acqua, e che è essenziale per sostenere il metabolismo di tutti gli organismi, specialmente quelli più evoluti. Fino ad ora si pensava che l’evoluzione di ossigeno fosse strettamente dipendente dalla presenza di una particolare molecola, la clorofilla a, e che questo processo dipendesse dall’energia associata alla sua capacità di assorbire la porzione ‘rossa’ della luce solare. Questo limite di assorbimento è stato ritenuto anche un utile indicatore per scovare, in remoto, potenziali forme di vita complesse su altri pianeti.
Lo studio dell’Imperial College di Londra condotto insieme all’Istituto di biofisica del Cnr, ha permesso di dimostrare come in una particolare classe di cianobatteri, una diversa forma di clorofilla, denominata f, sia in grado di sostituire la clorofilla a in particolari proteine in cui avvengono le reazioni di conversione fotosintetica dell’energia solare in forma chimicamente spendibile, associata all’evoluzione di ossigeno. La clorofilla f ha intrinsecamente un’energia più bassa della clorofilla a poiché assorbe la luce solare nel vicino infrarosso. Questo ci porta, quindi, a ripensare quale sia il limite energetico minimo per la scissone dell’acqua e, di conseguenza, lo sviluppo di forme di vita complessa.
Il gruppo di ricerca in fotosintesi del Cnr-Ibf a Milano ha collaborato all’analisi con tecniche spettroscopiche (ovvero l’analisi dell’assorbimento della luce) nei complessi clorofilla-proteina, anche a temperature molto basse (-180 °C). Questi risultati hanno evidenziato sia la presenza di marker ottici per il funzionamento della clorofilla f, sia l’efficienza, anche a bassa temperatura, di questi particolari complessi fotosintetici. Questo risultato è davvero sorprendente, in quanto ci si sarebbe atteso che questa clorofilla fosse coinvolta nell’assorbimento della luce, ma non direttamente nella sua conversione in forme spendibili per il metabolismo.
Come ha spiegato Stefano Santabarbara del Cnr-Ibf: “Questi studi possono aiutarci a capire dal punto di vista funzionale ed energetico come si sono evoluti i primi organismi in grado di produrre ossigeno e, in particolare, questa scoperta dimostra che ci sono aspetti della fotosintesi che ancora non comprendiamo e che è ancora necessario studiare i meccanismi molecolari di questo processo biologico fondamentale per la vita”.