“Siamo tutti ancora un po’ animali, siamo tutti un po’ esseri umani”. Da questa riflessione è partito Roberto Azzurro, dopo aver interpretato alcuni esseri umani che sembrano essere sopra gli altri esseri umani, per mettere in scena Scarrafunera di Cristian Izzo, di cui l’artista è anche interprete al Teatro Elicantropo di Napoli.
Esseri umani speciali, dunque, quelli interpretati da Roberto Azzurro (Pier Paolo Pasolini, Oscar Wilde, Boni de Castellane), ma, stavolta, diventa lo “scarrafone”, nell’originale monologo presentato sul palcoscenico partenopeo da Ortensia T.
Scarrafunera prova a elevare, inizialmente, la concezione del coleottero a essere antropomorfo, dotato di intelletto, che inizia a lamentarsi del luogo di residenza, per manifestare, poi, la volontà di volerlo abbandonare. Attraverso argomentazioni e osservazioni di un mondo ipertrofico, si concretizza un continuo movimento spasmodico, convulso, ma, fondamentalmente, immobile.
“Finalmente – spiega Roberto Azzurro – senza ricorrere al favoloso Gregor Samsa di Kafka, eccone un altro, senza nome, ma fatto di versi. E, nell’intento di diventare altro sulla scena, un “altro” apparentemente così lontano da noi. Quando ho incontrato Scarrafunera di Cristian Izzo, mi sono reso conto che, poi, non ero così tanto lontano”.
La scarrafunera è un nido di scarafaggi. Proprio da qui prende vita la riflessione sulla somiglianza naturale tra l’uomo e lo “scarrafone”, che non ha nulla a che vedere con i ben noti cliché riguardanti lo schifo e il ribrezzo provocati da questo antipatico essere vivente, e più vicina a quanto detto da Joyce in “Dubliners”, o da Dickens in “Hard Times”.
L’essere umano, come lo scarrafone, non si percepisce come membro di una collettività, ma si come principio e fine di un Universo a sé stante. In questo continuo affermarsi e prevaricarsi di “ego” ipertrofici, crea un movimento spastico, violento, convulso e continuo, pur restando sempre immobile, nello stesso punto.
Una pesante immobilità, un’irrisolutezza nevrotica, che sembra entrata nella quotidianità, di chi s’illude di conquistare il Mondo, rubando la mela del vicino, mentre lui non è in casa, perché occupato a rubare un’altra mela, a un altro vicino, magari, proprio a lui.
Gli “abitanti” cercano di sopravvivere, gli uni alle spalle degli altri, dove anche l’atto intimo non è un fine procreativo, ma solo un movimento convulso nel sopraffare l’altro.
Scarrafunera, sotto un’apparente effervescenza, affronta i temi della convivenza, della famiglia, della morte, dell’inesistente rapporto con una madre generatrice e non mamma, dove l’unico incontro resterà indelebile per quel che sarà, poi, l’esito finale.