Dopo tre anni di non-vita non ne posso più
“Dopo 3 anni non ne posso più, spero di trovare una strada per una vita normale, farmi una famiglia, poter passeggiare tranquillamente. Quando a Cannes brindammo per la vittoria di Gomorra, feci una serata quasi normale, tutti ridevano ma io ero irrigidito, perchè non ero piu’ abituato. E questa è la cosa più grave, lentamente ti tolgono tutto, come il gioco dello ‘Shangai'”. Lo ha detto lo scrittore Roberto Saviano. Nell”intervista si parlato dell’ultimo libro dello scrittore napoletano, “La bellezza e l’inferno”. “Andare via non significa tradire – ha spiegato Saviano – non credo nelle logiche del martirio e del sacrificio. Più volte ho detto che mi sarei trasferito e ogni tanto sono andato fuori, l’ho fatto anche per tentare di respirare. Mi rendo conto che andare via sia la possibilità di una vita migliore, una scelta obbligata e unica. Questo è un concetto pericoloso e tragico. Al sud spesso chi resta è rassegnato perchè deve venire a patti con la realtà circostante. Una volta chi aveva un figlio emigrato al nord lo diceva con un po’ di vergogna, oggi è considerato un privilegio”. “Nel mondo degli addetti ai lavori – ha proseguito lo scrittore – essere sopravvissuti può essere visto come una colpa. C’è quel ghigno diffidente di chi dice ‘questo è un furbetto’, ‘vuole solo vendere’. Non ho amici o qualche persona che mi vuole bene. Il mio è un inferno di insulti, quando scendo dall’autobus o quando mi è capitato di andare a trovare un vecchio conoscente”. “Ma la colpa più grande che ho – ha concluso Saviano – è quella di aver fatto ricadere le conseguenze di una scelta individuale sui miei familiari. Mio fratello ha dovuto cambiare vita e città, mia madre vive sotto protezione e alcuni parenti hanno dovuto prendere le distanze da me. Sono circondati dalla diffidenza anche loro, ma di questa situazione a differenza mia vivono solo le ombre”.