Quello sul salario minimo in Italia è uno dei dibattiti politici che di tanto in tanto torna in auge per poi essere puntualmente accantonato. La direttiva europea sulle retribuzioni non ci impone di fissare una retribuzione oraria minima. Tuttavia, la situazione economico-sociale nel nostro Paese richiederebbe un momento di discussione seria sui salari. Intanto da Napoli arriva una direttiva che si muove in questa direzione.
La direttiva europea sulle retribuzioni
Nel 2022, il Parlamento europeo ha adottato una nuova legislazione sulle retribuzioni che si è tradotta, poi, in una direttiva del Consiglio europeo. Nell’ambito del Pilastro 6 del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, la Direttiva UE sulle retribuzioni mira a garantire ai lavoratori dell’Unione un salario minimo adeguato. I Paesi nei quali il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore all’80% sono tenuti ad adottare misure di rinforzo. Ogni Paese dell’Unione, che ha due anni per recepire la direttiva e legiferare in materia. Il tetto minimo della retribuzione va calcolato in base al costo della vita.
Il salario minimo in Italia
L’Italia, così come Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia, non è obbligata a stabilire un salario minimo poiché la copertura della contrattazione collettiva è superiore all’80%. Tuttavia, nel nostro Paese il fenomeno della povertà lavorativa è sempre più diffuso. A fronte di un livello di occupazione record, i contratti sono per lo più a tempo con salari più bassi di quelli previsti dalla contrattazione nazionale. Il lavoro più stabile, invece, ha spesso retribuzioni non aggiornate. L’inflazione, che lo scorso anno ha letteralmente galoppato, e l’aumento dei costi energetici hanno contribuito a erodere i salari.
Le opposizioni avevano, infatti, proposto un disegno di legge che prevedeva un tetto minimo di 9 euro l’ora per la retribuzione. Una misura che doveva andare incontro soprattutto ai lavoratori parasubordinati e autonomi così come ai settori più fragili con scarso peso contrattuale dei sindacati.
La proposta non è stata accettata dal governo secondo il quale il salario minimo andrebbe contestualizzato all’interno di una più ampia politica del lavoro. Ha però contribuito ad avviare il dibattito sul lavoro nel Paese.
La novità che arriva da Napoli
E’ in questa cornice che va inserita la novità sul salario minimo che arriva da Napoli. La giunta comunale partenopea, infatti, ha approvato un atto di indirizzo che fissa un tetto minimo alla retribuzione nei contratti di fornitura. Ovvero, tutte le realtà alle quali in Comune di Napoli affiderà lavori, servizi o forniture dovranno corrispondere ai loro dipendenti una retribuzione a partire dai 9 euro l’ora.
La decisione, adottata su proposta dell’Assessore al Lavoro Chiara Marciani, impegna non solo il Comune ma anche le società partecipate del Comune. L’atto di indirizzo va a completare il protocollo d’intesa, approvato lo scorso 8 luglio, che sarà stipulato con le organizzazioni sindacali, volto ad assicurare ai lavoratori che vengono impiegati negli appalti condizioni economiche e normative migliori.
“Questa delibera – spiega l’assessora Marciani – contiene anche vincoli sui contratti collettivi che devono essere applicati al personale impiegato nei lavori, nei servizi e nelle forniture oggetto di appalti pubblici, in coerenza con la disciplina prevista dal nuovo Codice dei contratti pubblici. L’Amministrazione intende garantire la dignità del lavoro e con gli ultimi atti approvati dalla Giunta vengono prescritte ulteriori garanzie, di sicurezza ed economiche, rispetto a quelle già previste dalla legislazione vigente”.
“Non abbiamo l’ambizione di sostituirci al Parlamento e alla politica nazionale, ma vogliamo lanciare un segnale dalla più grande città del sud, dove più che altrove è largamente diffuso il lavoro povero – evidenzia il consigliere D’Angelo – Basta paghe da fame, soprattutto da parte di chi esegue lavori per conto delle amministrazioni pubbliche”.