L’ultimo schiaffo alla libertà d’informazione, che ha già duramente colpito non solo giornali e TV, ma anche internet, è stato annunciato lunedì: oscurata la versione russa di Wikipedia, reo di aver pubblicato un articolo sul charas, un tipo di hashish prodotto dall’estrazione della resina di cannabis.
Roskomnadzor, l’agenzia federale per i mass media, le ha ordinato di bloccare la pagina incriminata ma l’enciclopedia universale ha spiegato che il protocollo protetto usato (‘https’) non lo consente e sarà costretta a bloccare tutte le risorse.
Il sito è attualmente uno dei più visitati del Paese, circa 1,5 mln di collegamenti l’ora. L’articolo in questione era stato vietato a giugno da una corte di Astrakan, con una inedita sentenza censoria su un contenuto di Wikipedia.
Nei giorni scorsi il direttore esecutivo di Wikimedia.ru, Stanislav Kozlovski, aveva difeso la pubblicazione sottolineando che si basa su informazioni riprese dal sito dell’Onu e su fonti accademiche.
Che alle autorità russe non piacesse l’enciclopedia on line promossa da una fondazione Usa non era un mistero: alla fine del 2014 la Biblioteca presidenziale, intitolata al defunto presidente Boris Yeltsin, aveva annunciato il progetto di creare insieme alla Biblioteca nazionale di Russia e all’associazione russa delle biblioteche “una alternativa a Wikipedia“, ritenendo che quella attuale non abbia “sufficienti informazioni dettagliate e affidabili sulle regioni russe e sulla vita del Paese“.
Già in primavera Roskomnadzor si era già scagliato contro contro Google, Facebook e Twitter minacciando multe e divieti se non avessero bloccato le pagine internet con quelli che le autorità russe considerano “contenuti estremisti” e non avessero condiviso le informazioni sul traffico online. Un uovo schiaffo alla libertà. Un colpo alla democrazia, al pluralismo, alla partecipazione.