Nell’ambito della prima edizione del festival Peste!, un’esplorazione del femminile attraverso la contaminazione tra arti visive, performative e pratiche psico-fisiche, dal 4 al 7 ottobre 2018, la Fondazione Il Lazzaretto di Milano presenta la mostra “Rosso pestifero – Tabù e rossetto”, a cura di Maria Elena Colombo e Il Lazzaretto.
Il rossetto non vuole essere l’oggetto della mostra, ma un pretesto, un filtro, una lente attraverso la quale guardare noi stessi e la nostra voglia di mostrarci o, piuttosto, nasconderci. “Rosso Pestifero” è una mostra dedicata ai tabù che il rossetto veicola, allestita in due diverse aree all’interno degli spazi de Il Lazzaretto.
La prima è un’installazione ospitata nel Salotto della fondazione e composta da quattro armadi-scrigno, quattro come i rossetti esposti, come i tabù rappresentati e riassunti in altrettanti temi: l’età, il genere, la maschera e i confini.
L’ispirazione viene dalla Wunderkammer, nella sua versione contemporanea: un affastellarsi di oggetti, rappresentazioni, storie, persone, artisti che individuano un tema o più temi sovrapposti con differenti registri di lettura, nei quali la scelta degli oggetti e la cura nella disposizione è di per sé un messaggio.
A questo primo ambiente formato dai “realia” (oggetti d’epoca, riviste, confezioni, opere d’arte, volumi…) esposti negli armadi del Salotto, la mostra accosta una seconda area, rappresentata dallo spazio astratto e meditativo della “Red room”: qui sedimentano le domande poste per giustapposizione, osmosi, confronto, per scovare in ciascuno resistenze e significati legati inconsciamente e/o culturalmente agli interventi di modifica, alla maschera, allo scudo, al corpo, alla presentazione del sé.
Il visitatore può costruire e raccogliere la molteplicità di stimoli che l’oggetto-rossetto evoca se letto attraverso la sua storia, i suoi protagonisti, la sua rappresentazione e gli stereotipi cui è legato.
Non esiste un percorso organizzato per timeline storiche o insiemi tematici omogenei: si tratta di un caleidoscopio che lavora su livelli molteplici e non accompagna in modo unidirezionale verso una soluzione. E’ una messa in scena parziale e selettiva che ha per protagonista un oggetto apparentemente innocente, ma storicamente e antropologicamente denso di significati.