Si stima che in Bangladesh e Myanmar 108.037 bambini, per lo più Rohingya, siano nati confinati nei campi profughi negli ultimi anni. Qui sopportano condizioni non adatte ai bambini, con accesso limitato all’istruzione e all’assistenza sanitaria, nessuna libertà di movimento e sono quasi interamente dipendenti dagli aiuti umanitari. È questo l’allarme lanciato oggi da Save the Children l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Per celebrare i tre anni da quando oltre 700.000 Rohingya sono fuggiti dal Myanmar sulla scia delle brutali violenze che l’ONU ha descritto come un “esempio di pulizia etnica da manuale”, Save the Children ha analizzato i dati sulla popolazione dei campi profughi in Bangladesh (dall’agosto 2017) e i campi profughi nello Stato di Rakhine del Myanmar (dal 2012).
L’Organizzazione ha evidenziato che, attualmente, circa 75.971 bambini sotto i tre anni vivono nei campi di Cox’s Bazar, ovvero il 9% della popolazione totale di rifugiati. Quasi tutti sono nati dopo che le loro madri sono fuggite in Bangladesh.
Runa*, tre anni, è venuta al mondo durante l’estenuante viaggio di sua madre attraverso il confine tra Myanmar e Bangladesh mentre fuggivano per salvare la propria vita, e soffre di malnutrizione cronica. “Sono preoccupata per l’istruzione dei miei figli, il loro futuro, il loro comportamento”, ha detto a Save the Children Hamida*, la madre di Runa. “Non posso dare loro quello che chiedono perché non abbiamo soldi. Non possiamo realizzare i loro sogni. Non possiamo amarli e prenderci cura di loro adeguatamente. Ecco perché mi sento molto triste. Non posso dare loro buon cibo e quando chiedono qualcosa, non posso dargliela”.
Dal 2012, in Myanmar, a causa di precedenti ondate di violenza etnica, i campi per sfollati nel Rakhine centrale ospitano musulmani Rohingya e Kaman. Secondo i dati raccolti fino a dicembre 2019, Save the Children stima che ci siano 32.066 bambini sotto i sette anni sparsi in 21 campi, che rappresentano oltre il 25% della popolazione sfollata.
Khadija* ha sette figli, due dei quali sono nati dopo essere stata costretta a fuggire in un campo per sfollati interni a seguito di violenze etniche tra le comunità Rohingya e Rakhine del 2012. “Ho dei bambini di cui devo occuparmi. Ho bisogno di dar loro da mangiare, mandarli a scuola, quindi devo gestirmi in qualche modo”, ha raccontato a Save the Children. “Abbiamo sofferto molto dopo essere arrivati qui. Non potevamo mangiare, dormire o dare le medicine necessarie ai nostri figli. Hanno bruciato le case e bruciato vive alcune persone al mercato. Non ci aspettavamo di riuscire a sopravvivere e a scappare con i nostri figli”.
“Negli ultimi tre anni sono nati più di 75.000 bambini nei campi profughi di Cox’s Bazar. La nascita di un bambino è un’occasione gioiosa, ma questi bambini sono stati proprio sfortunati, nati in un luogo dove le loro famiglie non possono lavorare, dove hanno accesso limitato all’istruzione e all’assistenza sanitaria e nessuna libertà di movimento” ha dichiarato Onno van Manen, Direttore in Bangladesh di Save the Children.
“Insegniamo ai nostri figli a sognare in grande, ma per un bambino che non conosce altro che il campo profughi, molte speranze e sogni potrebbero essere irraggiungibili. Il popolo e il governo del Bangladesh hanno accolto i rifugiati quando sono fuggiti dalle violenze nel loro paese d’origine, ma dopo tre anni non siamo ancora vicini ad una soluzione a questa crisi umanitaria” ha proseguito Onno van Manen.
“I bambini e le famiglie Rohingya devono poter tornare nelle loro case in Myanmar liberamente e in modo sicuro e dignitoso. I leader mondiali, in particolare quelli che hanno stretti legami con il Myanmar, devono fare tutto il possibile per incoraggiare una rapida risoluzione di questa crisi. Non possiamo permettere che gli anni si accumulino e che i bambini trascorrano tutta la loro infanzia segregati” ha concluso Onno van Manen.
“Più di 30.000 bambini nei campi di Rakhine non hanno conosciuto altra vita tranne quella dei campi, nessuna opportunità di esplorare il mondo esterno o visitare le loro città o i loro villaggi” ha detto Mark Pierce, Direttore di Save the Children in Myanmar, Sri Lanka e Thailandia.
“Nessun bambino dovrebbe nascere in un campo circoscritto, separato da altri bambini perché appartiene ad altre comunità etniche o religiose. Dobbiamo evitare le conseguenze dannose di un’intera generazione di bambini che cresce in una segregazione forzata, che divide solo ulteriormente le comunità” ha proseguito Mark Pierce.
“Quasi tre decenni dopo che il Myanmar ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e si è impegnato a proteggere i bambini a tutti i costi, gli chiediamo di mantenere la sua promessa di garantire i diritti di tutti i bambini. È assolutamente necessario attuare presto soluzioni durature come stabilito dal Comitato consultivo Rakhine per garantire libertà di movimento, cittadinanza e altri diritti fondamentali per i bambini Rohingya e le loro famiglie” ha concluso Mark Pierce.