Quasi 1 milione di Rohingya stanno ancora aspettando giustizia e chiarezza sul loro futuro, due anni dopo essere state costrette a lasciare le proprie case a causa delle atrocità di massa subite in Myanmar, stanno lottando per la propria sicurezza e la propria dignità come rifugiati in Bangladesh. In una dichiarazione congiunta rilasciata oggi, 61 ONG locali, nazionali e internazionali che lavorano nei due paesi, hanno chiesto che nello stato di Rakhine in Myanmar – dove circa 128.000 sfollati Rohngya e di altre comunità mussulmane sono confinati dal 2012 nei campi senza poter far ritorno alle loro case – i diritti umani vengano riconosciuti a tutta la popolazione, senza eccezioni, e che i rifugiati Rohingya attualmente in Bangladesh possano avere un ruolo nelle decisioni sul proprio futuro, comprese le modalità del loro rimpatrio in Myanmar.
Preoccupazione per le famiglie Rohingya
Le ONG hanno espresso forte preoccupazione per la sicurezza delle famiglie coinvolte dalle violenze nello stato di Rakhine, incluse quelle Rohingya, mentre il conflitto si intensifica e l’accesso umanitario rimane limitato. Alla luce delle notizie sul possibile rimpatrio accelerato di 3.450 rifugiati Rohingya circolate questa settimana, le ONG hanno esortato i governi del Bangladesh e del Myanmar a garantire che qualsiasi processo di rimpatrio avvenga in sicurezza e che sia volontario e dignitoso.
Negli ultimi due anni, le ONG hanno aiutato il governo del Bangladesh e le Agenzie delle Nazioni Unite a fornire il necessario sostegno e il supporto vitale ai rifugiati che vivono nel più grande campo profughi del mondo nel Paese. Gli sforzi congiunti hanno stabilizzato le condizioni di vita nel campo, predisponendo le misure necessarie per affrontare la difficile stagione dei monsoni e prevenire la rapida diffusione di malattie. Ma bisogna fare di più. Le Agenzie hanno infatti invitato la comunità internazionale ad aumentare i finanziamenti per la risposta umanitaria in Bangladesh e Myanmar, per poter migliorare le condizioni di vita dei rifugiati e delle comunità locali ospitanti, e quelle degli sfollati interni nel Rakhine.
Il sostegno di Save the children ai profughi Rohingya
“Per due anni, i bambini Rohingya e le loro famiglie hanno vissuto nei campi con poche speranze di un futuro dignitoso. Dopo aver subito alcune delle peggiori violazioni dei diritti umani del ventunesimo secolo, ora vivono in rifugi temporanei fatti di bambù e plastica e non riescono a ricevere un’istruzione adeguata. Un bambino su dieci è ancora malnutrito e i rischi di traffico e sfruttamento, droga e criminalità nei campi fanno sentire i bambini insicuri”, afferma David Skinner, Responsabile di Save the Children a Cox’s Bazar.
“È tempo che il mondo crei le condizioni per sostenere il ritorno sicuro e volontario dei Rohingya in Myanmar, dove il Governo deve far fronte ad una delle sue responsabilità più elementari, quella di garantire lo stesso livello di sicurezza e umanità per tutti. I Rohingya meritano giustizia per ciò che hanno sofferto: i responsabili delle violazioni dei diritti umani e dei crimini contro l’umanità devono essere assicurati alla giustizia affinché i bambini Rohingya siano protetti e queste atrocità non si ripetano più, e per garantire loro il futuro che desiderano” conclude Skinner.
Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, lavora in Myanmar nello stato del Rakhine dal 2010 e in Bangladesh, a Cox’s Bazar dal 2012. L’Organizzazione fornisce supporto ai bambini e alle persone più vulnerabili con interventi per la salute, l’alimentazione, l’igiene, l’istruzione e – soprattutto – la protezione dei minori. Nello stato del Rakhine, Save the Children è presente e opera nei campi di Sittwe e Pauktaw e in 19 villaggi in aree di conflitto, in Bangladesh ha raggiunto con i suoi interventi salvavita più di 400.000 bambini a Cox’s Bazar, e ha creato più di 90 Spazi a misura di bambino e oltre 100 centri per l’apprendimento.