Il nome di Roberto Saviano è diventato estremamente familiare a noi tutti nel 2006, anno in cui irrompe nelle librerie di tutta Italia il suo “romanzo” Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra e, non si esagera se si dice, che è stato un vero e proprio terremoto nell’anima e nelle coscienze di – più o meno – tutti. Ma soprattutto lo è stato per lo stesso Saviano che da semplice cronista quale era, si è visto quasi istantaneamente portare alla ribalta nazionale prima ed internazionale poi.
A causa del (o grazie al) suo libro Saviano è diventato famoso un po’ ovunque tant’è che Gomorra ha venduto 2 milioni e mezzo di copie in Italia ed oltre 10 milioni in tutto il mondo; dal libro è stato tratto un film portato sullo schermo da Matteo Garrone ed anche una serie tv che è diventata la più vista in assoluto nella storia della pay TV italiana ed è stata acquistata da oltre 70 paesi in tutto il mondo. Tante sono state le personalità del mondo della cultura che Saviano ha incontrato e a spesso sono state le stesse personalità che hanno espressamente chiesto di incontrarlo.
Tantissimi, tra l’altro, sono stati i premi Nobel e le personalità del mondo della cultura che si sono mobilitati in suo favore chiedendo che lo Stato italiano facesse qualsiasi sforzo per garantire la sua incolumità e per proteggerlo. Qualche nome fra i tanti: Dario Fo, José Saramago, Chuck Palahniuk, Ingrid Betancourt, Rita Levi-Montalcini, Umberto Eco…
Nel 2008 gli Accademici del Nobel hanno addirittura invitato Saviano alla Reale Accademia di Svezia per tenere un discorso sulla “Libertà di espressione e la violenza senza legge”.
Al di là delle vendite e degli elogi, Saviano è stato soprattutto – e paradossalmente – criticatissimo; e spesso dai suoi stessi concittadini.
Una delle critiche più frequenti che è stata più volte mossa al suo libro è che questo non abbia rappresentato alcuna novità contenutistica e ,quindi, il suo successo sia stato in un certo qual modo “esagerato” o comunque “sopravvalutato”.
Ad onor del vero c’è da dire che sono stati tanti i libri che hanno trattato l’argomento Camorra prima di Gomorra. Alcuni esempi sono: Il potere della Camorra di Francesco Barbagallo, ‘O Malommo di Mino Jouakim del 1979, e i vari libri-inchiesta di Gigi Di Fiore; ed è doveroso citare in questo caso anche il giornalista del Mattino Giancarlo Siani che fu assassinato per le sue inchieste riguardanti i clan camorristici.
Ma la novità di Gomorra, che ha decretato il suo successo di pubblico, è da ricercare nel fatto che questo è stato percepito come un qualcosa di nuovo, nonostante tutto. Questo qualcosa di nuovo forse è – a giudizio di chi scrive – lo “stile” inedito: Gomorra è a metà tra fiction e non-fiction: “racconta” la realtà in maniera romanzata. Probabilmente è per questo che ha fatto presa su una più grossa fetta di pubblico rispetto ai meno conosciuti predecessori.
Al di là delle varie pretese di paternità sul tema c’è da riconoscere a Saviano il fatto che abbia portato alla ribalta nazionale ed internazionale, come mai era stato fatto prima, il tema della camorra. Come scrive lui stesso nel suo ultimo libro ZeroZeroZero: «Sono un mostro, come chiunque si è sacrificato per qualcosa che ha creduto superiore. Ma conservo ancora rispetto. Rispetto per chi legge. Per chi strappa un tempo importante della sua vita per costruire nuova vita. Nulla è più potente della lettura, nessuno è più bugiardo di chi afferma che leggere un libro è un gesto passivo. Leggere, sentire, studiare, capire è l’unico modo di costruire vita oltre alla vita, vita a fianco della vita. Leggere è un atto pericoloso perché dà forma e dimensione alle parole, le incarna e le disperde in ogni direzione. […] Conoscere è iniziare a cambiare» , che è un po’ una parafrasi di Wittgenstein quando affermava che è il solo dare nome alle cose che le rende reali.
Ed è proprio in questo senso che non si capiscono le numerose critiche rivolte al libro. Non vi è alcuna regola che impone di dover affrontare argomenti di cronaca con approccio etereamente e glacialmente (ed anche “distaccatamente”) giornalistico. Saviano non ha solo raccontato. Ha analizzato! È riuscito a condensare esperienza empirica ed analisi micro e macro economica dell’imprenditoria malata del Mezzogiorno. Essendo un libro non del tutto fruibilissimo ha suscitato meraviglia – sempre a giudizio di chi scrive– constatare che il libro sia stato acquistato e soprattutto letto da una mole di pubblico tanto eterogenea.
E probabilmente è proprio questo che ha fatto paura a chi lo ha ripetutamente minacciato di morte ed abbia portato nel 2006 l’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato alla decisione di assegnargli una scorta personale per motivi di sicurezza. Tali minacce che hanno poi in seguito costretto Saviano ad allontanarsi dall’Italia.
Delle polemiche sono nate anche su questa decisione: alcuni già allora si mostrarono estremamente dubbiosi riguardo l’assegnazione della scorta allo scrittore.
Altra accusa che viene spesso mossa nei confronti dello scrittore napoletano è che grazie ai proventi del suo libro si sia arricchito.
Purtroppo non si riesce neanche stavolta a dare o a trovare un senso profondo a queste critiche: Saviano si è arricchito? Non si capisce per quale motivo e perchè fargliene una colpa visto che lo ha fatto onestamente e con il suo lavoro. Perchè, poi, puntare il dito contro di lui, e non contro le persone che ha denunciato? Quelle che si sono arricchite – in maniera disonesta e – si perdoni la banalità – nei modi peggiori? Quelli che hanno sfruttato la loro terra, che hanno messo in piedi i loro imperi economici di abnormi dimensioni? Quelli che hanno lucrato per lo smaltimento di rifiuti tossici e sono riusciti a incassare milioni di euro e ci hanno imbottito di veleni?
Secondo l’Osservatorio epidemiologico campano, una media di 7172,5 morti per tumore all’anno in Campania.
Come se poi Roberto Saviano avesse scritto e pubblicato Gomorra sapendo in anticipo che sarebbe stato un sicuro successo di pubblico, e di conseguenza un sicuro metodo per gonfiare il suo conto in banca.
Come se ci fossero delle regole prestabilite in base alle quali si possa scrivere un best seller. E se esistessero queste regole non le studieremmo tutti in modo da poterci arricchire tutti quanti?
Di lui è stato persino detto che sia peggio della camorra (sic!).
Nel 2010 Saviano assieme a Fabio Fazio condusse il programma televisivo Vieni via con me su Rai 3. Il format prevedeva l’analisi di vari argomenti di natura politico, sociale e culturale dell’Italia con l’ausilio di vari ospiti che intervennero durante le quattro puntate. Anche qui le critiche non mancarono e anzi fioccarono dalle colonne di più organi e di stampa e forze politiche. Si consigliò che, piuttosto che parlare dei morti, Saviano avrebbe dovuto parlare dei vivi e che scomodare Giovanni Falcone era stato fuori luogo.
Al di là delle critiche di varia sorta, prima di approdare al suo secondo “romanzo”, Roberto Saviano si occupa in maniera embrionale della cocaina in un pezzo poi pubblicato nella sua raccolta di articoli del 2009 La bellezza e l’inferno. Scritti 2004-2009.
Il titolo dell’articolo/capitolo è La magnifica merce e vi si trovano in nuce alcuni dei temi che Saviano svilupperà in maniera accurata nel 2013, anno in cui vede la luce il secondo libro-inchiesta dell’autore in questione: ZeroZeroZero.
Questa volta l’analisi è incentrata sulla cocaina che partendo dal Sud-America viene esportata in tutto il mondo.
È questo una sorta di libro-Mondo, che è dedicato agli uomini della sua scorta, e che si apre con una bellissima citazione della poetessa bulgara Blaga Dimitrova: Nessuna paura che mi calpestino./ Calpestata, l’erba diventa un sentiero.
La tesi cardine del libro è che la cocaina secondo l’autore sia, metaforicamente, la ferita da cui guardare il mondo.
Anche questo libro come il precedente Gomorra, ma forse in maniera anche più radicale, capovolge la visione che in generale si ha delle cose.
ZeroZeroZero attraversa pian piano, in maniera graduale, la trama delle organizzazioni criminali di tutto il mondo fino ad arrivare ai piani alti: quelli delle banche e del riciclaggio.
Il libro è intervallato da capitoli più brevi che sono numerati numerati, e che sembrano quasi essere delle striscette di coca che lo intervallano.
La funzione di questi inframezzi sembra essere quella di far si che il lettore rimanga con i piedi per terra. Perché quando ci si allontana, si va in Messico, in Colombia, in Africa… sembra che ci si allontani dalla realtà. Ma questa è invece una realtà vicinissima a noi!
La cocaina è la merce più consumata, trafficata e desiderata del nostro tempo. È una droga performativa ed è una “merce drammatica”.
La cocaina è la merce da esportazione per antonomasia. Viene prodotta in Colombia e viene, nella sua danza macabra, distribuita dai messicani praticamente in ogni angolo del globo: nelle spiagge di Miami, in Russia, in Africa, nelle strade illuminate di Milano, a New York, Parigi, Londra... È chimica alleata alla logistica! E l’indagine di Saviano infatti si svolge su vari terreni e territori: dai terreni del Sinaloa alle piazze di spaccio di Secondigliano, dagli insidiosi villaggio del territorio guatemalteco alle coste del Pacifico.
La cocaina permette un “turbo-capitalismo”: una velocità di arricchimento senza precedenti.
Le cattedrali nel deserto di cui sopra fanno parte di un discorso preciso: ad essi si collegano omicidi apparentemente isolati. Secondo l’Onu nel 2009 se ne sono consumate ventuno tonnellate in Africa, quattordici in Asia, due in Oceania. Più di centouno in tutta l’America Latina e nei Caraibi.
Ma il fatto che la più grande economia mondiale è quella del narcotraffico sono i dati numerici a dirlo: 400 miliardi di Dollari. Più della Shell, della Apple, della Deutche Bank.
Da un chilo di cocaina pura se ne ricavano 3 di coca tagliata. Ed il danaro che genera la Cocaina diventa appalti, costruzioni, hotel, ristoranti…
Questi introiti permettono – usando un gergo economico – di “abbattere i costi”.
Dinanzi a questo dato si capisce il perché della ferocia che scaturisce il narcotraffico: in Messico dal 2006 oggi ci sono stati 70mila morti (10 volte tanto i soldati morti in Iraq). E queste cifre non sono generate da subcultura, ignoranza, e gangsterismo, ma dalla ricchezza narco-capitalista.
C’è anche chi per raccontare è morto. Christian Poveda, un reporter francese di origine spagnola la cui famiglia era scappata dal franchismo. Chiristian si innamora di El Salvador. Segue la guerriglia degli anni ’80 Farabundo Martí.
Nota che i salvadoregni spediscono i figli in America per saltare la guerra civile. In America questi ragazzini si addestrano con le gang locali: asiatiche, sudamericane, afroamericane. Quando ad El Salvador finisce la guerra civile, gli Stati Uniti li rimandano indietro. Questi ragazzini, ormai adolescenti, danno vita alle Maras. Una delle gang più spietate del mondo.
Il termine Mara significa “gruppo”, “folla” e per entrare a farne parte bisogna superare prove che vanno al di là dell’immaginazione di noi occidentali: i ragazzi sono sottoposti a pestaggi violenti e ininterrotti che spesso li lasciano privi di sensi e le ragazze devono affrontare uno stupro di gruppo.
Christian Poveda decise di studiarli perché le Maras stavano diventando, con il potere dei cartelli messicani, sempre più fondamentali per lo smercio di coca.
Poveda è stato a contatto con le Maras per sedici mesi assistendo ai riti di iniziazione, alle organizzazioni di omicidi e tutto il resto del loro operato. Dai suoi filmati Poveda ha tratto un documentario intitolato La Vida Loca che si può guardare su YouTube.
Grazie a La Vida Loca, che comincia a circolare, i giornali cominciano ad occuparsi del problema. Il governo salvadoregno è costretto a dare delle risposte.
Il 2 settembre del 2009 Poveda viene ucciso dalla Mala, freddato da quattro colpi alla testa. Poveda viene ucciso perché pericoloso. Ma pericoloso non è stato lui, ma ciò che ha filmato. E pericolosi sono i suoi spettatori che hanno visto.
Saviano racconta di Christian Poveda in maniera molto intensa, quasi lasciando trasparire una sorta di comunanza con lo scrittore francese.
Lo stesso Saviano ha affermato che racconta queste storie per una sua ossessione personale, come lui stesso ammette. Vi è una sorta di parallelismo Robert Graysmith, l’ex vignettista del San Francisco Chronicle che decise di mettersi sulle tracce di Zodiac, serial killer che negli anni sessanta e settanta seminò il panico nella San Francisco Bay Area (gli omicidi coprivano diverse contee tra cui quelle di Solano, Napa e Vallejo). Graysmith si licenziò dal San Francisco Chronicle per portare avanti una indagine personale per una decina d’anni e che sfociò in una ossessione personale e che mise in pericolo il suo matrimonio ed anche la sua stessa vita.
Ma nonostante tutto, nonostante i pericoli alla sua vita, Saviano continua a raccontare. Nonostante sa a cosa va incontro. Nonostante sa i pericoli che corre.
E nonostante ciò, come si diceva in principio, è stato ripudiato dalla Napoli che ha raccontato, e come dice lui stesso in ZeroZeroZero: «E mi fa male Mi fa male come tutto il resto, come la certezza di dovermene andare da Napoli e non poter far altro che tornarci sempre con la mente e le parole, anche se mi disprezzano più di quanto i calabresi spregiano i napoletani. Non mi sono mai mosso da Napoli. Non solo con il pensiero, ma sopportando l’odio che mi viene versato di continuo, anche accogliendo le braccia che mi stringono per darmi coraggio. Sono sempre lì. Raccontare Napoli è un po’ tradirla, però in questo tradimento io trovo posto. L’unico, per ora, che mi è dato. Per me, il dolore del sangue che colma le piazze, il dolore dei nomi che allungano gli elenchi è un dolore che non passa neanche a soffiarci su con tutto il fiato possibile. È un dolore che non guarisce neanche a medicarlo col mercurio cromo, neanche se lo suturi. Mi riguarda, come ci riguardano le cose che provocano il dolore più profondo: la nostra carne, i figli, la parte più intoccabile di noi. Come la morte, che riguarda solo te. Sino a che qualcuno o qualcosa non mi uccide, non potrò che continuare a giocarmi il mio numero».