La mostra personale di Robert Breer (Detroit, Michigan, USA, 1926 – Tucson, Arizona, USA, 2011) – dal titolo Time Out – ne ripercorre i sessant’anni di carriera e riunisce, per la prima volta in Italia, un’ampia selezione di dipinti, film sperimentali e sculture che l’artista ha realizzato dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, fino al 2011 anno della sua scomparsa.
Pioniere nelle tecniche di animazione, Robert Breer è stato uno dei fondatori dell’avanguardia americana ed è oggi considerato uno degli autori più innovativi nel cinema sperimentale.
Lungo tutta la sua carriera l’artista ha eluso etichette formali, stilistiche e concettuali, focalizzandosi su una ricerca libera, ma allo stesso tempo estremamente coerente, espandendo la ricerca visiva ben oltre gli ambiti linguistici tradizionali. Ha portato avanti sperimentazioni diverse, dalla pittura astratta, al cinema strutturale, dal Fluxus al Pop, al Minimalismo, senza però mai legarsi definitivamente ad alcuno di questi movimenti.
Attraverso la selezione di più di sessanta opere, la mostra esplora i principali temi che percorrono l’arte di Robert Breer, partendo dalla pratica pittorica, muovendosi poi in quella filmica, per poi dare spazio a una corposa selezione di disegni e sculture. In questo modo la mostra esplora l’approccio formale e concettuale con cui Robert Breer si è confrontato per oltre sessant’anni, celebrando l’eterogeneità che caratterizza la sua ricerca. La tensione che emerge tra immagine in movimento e immagine statica rivela una costante riflessione sulla possibilità di catturare il tempo, confondendo i confini tra rappresentazione astratta e figurata, movimento e staticità, oggetto e soggetto, nell’intento di mettere alla prova i limiti della nostra percezione.
Figlio di un ingegnere della Chrysler Corporation, Breer inizialmente studia ingegneria per passare poco dopo alla facoltà di arte della Stanford University (California) di cui è uno dei primi studenti. Trascorre gli anni Cinquanta a Parigi, dove sviluppa una geometria visiva ispirata al neo-plasticismo di Piet Mondrian (1872-1944), ma allo stesso tempo profondamente innovativa e orientata all’idea di uno “spazio elastico”. I dipinti esposti, tra cui Time Out (1953) – da cui è tratto il titolo della mostra – Three Stage Elevator (1955) e Composition aux trois lignes (1950), rivelano un’interpretazione dell’astrazione che si distanzia dalla purezza formale di Mondrian, a favore di elementi irregolari e linee fluttuanti che alludono al movimento.
Poco dopo l’esordio come pittore Breer elabora – a partire dal suo primo film From Phases I (1952) – l’idea di un cinema che consista in una sequenza di molteplici immagini, estranee l’una dall’altra, che sia diretta conseguenza dell’idea di movimento presente nei suoi dipinti. Attraverso la sperimentazione con varie tecniche di animazione tra cui i flipbook (di cui cinque esemplari sono esposti in mostra), Breer realizza il desiderio di dare fisicità al movimento in modo che questo sia vissuto in tempo reale dallo spettatore. In film come Recreation (1956), A Man and His Dog Out for Air (1957), 69 (1968), Fuji (1974) e Swiss Army Knife With Rats and Pigeons (1980), lo spettatore è bombardato da oscillazioni di linee, colori, lettere, forme astratte e immagini che saltano e lampeggiano, appaiono e scompaiono, creando quella che Breer definiva “un’aggressione della retina” [“assault and battery on the retina”].
Con l’iniziale aiuto di Jean Tinguely (1925 – 1991), Breer comincia a realizzare negli anni Cinquanta una serie di “pre-cinematic objects” [oggetti precursori del cinema]. Espone prima a Parigi, poi a New York negli anni Sessanta, i Mutoscopes [Mutoscopi]. Questi dispositivi cinematografici rudimentali presentano una sequenza di singole immagini disposte su un rullo e – fatti scorrere alla velocità desiderata – mostrano allo spettatore la fenomenologia del movimento che si rivela nella sua origine e nel suo sviluppo.
A partire dagli anni Sessanta Breer inizia la produzione di un altro importante corpus di opere, i Floats, sculture di diverse dimensioni, materiali e forme, che come descritto nel titolo della serie, fluttuano nello spazio. Esse sono la rappresentazione tridimensionale delle forme astratte e anti-narrative che caratterizzano la sua precedente ricerca pittorica e soprattutto cinematografica. Queste forme semplici – che sembrano alludere con ironia al Minimalismo – si muovono liberamente nello spazio, a una velocità quasi impercettibile e cambiano traiettoria in caso di collisione. L’ambiente circostante si aggiorna e si modifica continuamente, mentre le forme si scontrano e cambiano direzione. Opere come Switz (1965), Borne (1967), Porcupine (1967), Float (1970) e Tambour (1972), circondano lo spettatore, come fossero presenze animate e, rivelando gradualmente il proprio movimento, agiscono sulla percezione dell’istante e della presenza dei nostri corpi nello spazio fisico che ci circonda.
Una selezione di numerosi disegni racconta lo studio attento e meticoloso che l’artista dedica alla composizione e alla creazione di un sistema di associazioni nella fase che precede la realizzazione di film e sculture. I disegni offrono così allo spettatore la possibilità di esplorare ogni possibile interazione tra forme e colori e di soffermarsi a osservare quei dettagli che nei film scorrono troppo veloci per essere colti.
Le diverse anime che compongono l’opera di Robert Breer sono raccolte in mostra con l’intento di celebrare la profondità e la complessità di una ricerca visionaria e di raccontare un’indagine costante sul concetto di tempo, che – come suggerisce il titolo della mostra – vive sospeso, al limite tra il reale e l’astratto, tra la fissità e il movimento, tra la magia del fenomeno e l’assoluto.