– Dopo le interviste ai poeti residenti in Campania, riprendiamo il discorso delle interviste rivolgendo le domande – più o meno le stesse per tutti – ai direttori di riviste con sede in Campania e non solo.
– Oggi intervistiamo Mattia Tarantino, direttore di «Inverso», rivista on line con sede ad Aversa (CE), giovane poeta nato a Napoli nel 2001. L’ultima sua pubblicazione è Fiori esitinti (Terra d’ulivi, 2019).
Incominciamo con una domanda semplice e forse scontata, ma che ci serve per inoltrarci in questa intervista. Chi è Mattia Tarantino?
È il nome che mi è stato dato: mattath, dono, e Yah, abbreviazione del tetragramma. Il mio nome smargina, in qualche modo, quello di Dio. Lo contiene e vi si avvinghia; lo prevede e ne dipende. Per il resto, Mattia si occupa di poesia e gli piace molto il vino rosso.
Come e quando è nata «Inverso» e che linea editoriale presenta ai suoi lettori?
Inverso è nata per provocare il tessuto culturale della poesia contemporanea. In giro ci sono molti bei versi; poetiche interessanti. Ma l’Italia opera come una provincia: frammenta e sparpaglia. Con la rivista cerchiamo di unire, scovare, aumentare le voci contemporanee.
Immagino che si faccia una certa selezione prima di pubblicare testi sulla tua rivista. Con quali parametri vengono effettuate tali scelte?
Prima di tutto bisogna stabilire dei parametri, dei parametri. Si pubblica ciò che, in un campo scandito e autodeterminato dalle scelte lessicali e sintattiche, assume e mantiene una forma solida. Sia questa classicheggiante, sperimentale o d’altro tipo: deve rispettare, o scardinare del tutto, i codici delle eco che rinnova.
Quanto spazio date ai giovani e alla poesia?
Inverso è un giornale di poesia; non ci occupiamo d’altro. La maggior parte dei nostri articoli tratta voci contemporanee e molte, anche per banalità anagrafiche, sono giovani. Tuttavia, non cerchiamo necessariamente il giovane e il nuovo: vogliamo qualità, e nient’altro che questa.
La rivista ha una redazione? Un editore? Con che ruoli?
La direzione della rivista è affidata a me e Gabriele Galloni: è un progetto che abbiamo pensato insieme e che insieme conduciamo. La redazione è molto vasta ed eterogenea: abbiamo cercato di inserire un poeta per ogni rivista italiana; a questi abbiamo aggiunto poeti e traduttori da diversi paesi europei ed extracontinentali. Siamo, in qualche modo, incontinenti.
Qual è la sua periodicità e come viene distribuita? Quanti numeri sono usciti finora e a chi è rivolta e con quali risultati?
Abbiamo scelto di non seguire la forma classica delle riviste. Pubblichiamo un articolo al giorno per cinque giorni alla settimana. Ci interessava, ci interessa, creare uno spazio quotidiano; un punto di riferimento per i lettori e per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, partecipano al mondo della poesia.
Durante la sua esistenza ci sono stati argomenti che ti hanno fatto esclamare: «Vale la pena proseguire!».
Certo. Penso a Valeria Rocco, poetessa che abbiamo lanciato e che ha attirato su di sé l’attenzione della critica; oppure a Roberto Batisti: i suoi versi sono riusciti a stupirmi, a farmi custodire e rinnovare il senso della poesia quando in me sembrava vacillare. Sorprendenti anche Pietro Romano e Giovanni Perri: pubblicando, di volta in volta, i loro versi sulla rivista, si nota quanto entrino nella parola e via via la rovescino.
E quelli più interessanti, anche a livello personale?
Quando a giugno, ad Aversa, abbiamo organizzato il festival di Inverso ho capito l’importanza della comunità; di quanto voci, corpi, cervelli lontani possano lavorare insieme per ripetere – ricercare, quindi – il senso e il dissenso delle cose.
I rapporti, gli incontri e gli scontri che si sono creati.
Non riesco a citarli tutti. Alcune sono forme di bene in costruzione; altri ferite aperte. Tra le cose più importanti ci sono sicuramente la corrispondenza e l’affetto con Letizia Di Cagno, sempre troppo lontana come lontana è l’amicizia con Sotirios Pastakas, Costis Papazak ed Efthymios Lentzas.
Che ruolo hanno – secondo te, al di là del tuo condizionamento in qualità di direttore – le riviste letterarie in questo periodo dove si legge poco, diciamo così, per non dire altro ma apriremmo un discorso troppo lungo?
La poesia, quella onesta, praticata da chi sente la verità solo nell’elemento irriducibile della parola, non esisterebbe senza le riviste. Ce ne sono tante, più o meno valide, più o meno diffuse. Ma è da lì che passano i poeti, è lì che trovano i loro lettori e possono accedere ai versi degli altri, spesso troppo distanti nelle librerie.
L’amico Felice Piemontese un giorno mi confessò che non credeva più nelle riviste in quanto – secondo lui – avevano fatto il loro tempo. Io per tutta risposta, ho fondato e diretto due riviste. Si deduce che neanche tu sei d’accordo col pensiero di Piemontese. Perché non sei d’accordo?
Le riviste ormai classiche della poesia italiana sembrano chiudersi, col passare degli anni, alle novità; a meno che queste non vengano presentate da persone che hanno già costruito la propria credibilità. Bisogna, invece, rendersi conto di quanto le decine, centinaia di poeti che inviano i loro versi alle redazioni portino di interessante. Non può interessarci solo ciò che condividiamo, d’altronde. Dirigere una rivista, oggi, significa prima di tutto rendersi conto dei movimenti sociali più profondi; esaminare e provocare il tessuto culturale in cui si opera; creare spazi di libertà complessa e dinamica.
Quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista letteraria in questo “strano” periodo storico?
Come ho detto nella risposta precedente, abbiamo il compito di osservare, talvolta intuire, la chimica delle società; di scuoterla e fornire gli strumenti di accesso alle varietà, ai paradigmi del senso.
Cosa si può fare affinché le riviste tornino ad assumere un ruolo primario nel panorama letterario come avveniva nella seconda metà del Novecento?
Inventare forme nuove che sostituiscano il mercato. Altrimenti, dai divani davanti alle televisioni – ma anche dalle scuole e da molte piazze ‒, continueremo a sentire Barabba e a liberarlo. Dobbiamo rompere la relazione tra la l’offerta e la domanda. Non dire ciò che serve, ma dire, e forse neanche questo: lo scopo di una poesia è il segno che essa stessa produce, sostiene Dylan Thomas.
L’accusa maggiore che viene rivolta alle riviste è quella di giacere in una specie di “oblio”, un limbo scollimato dal contesto in cui opera. La tua rivista come si rapporta con l’ambiente in cui opera, cosa propone ai lettori al di fuori della “pagina”, nel tentativo di realizzare una concreta amplificazione del suo messaggio?
In estate abbiamo organizzato un festival chiamando molti dei poeti passati tra le nostre pagine. Cercheremo di ripeterlo, e di organizzare altri momenti del genere in Italia. Del genere… sorrido: degenere, al massimo.
Dopo la “morte” di alcune riviste importanti (penso, per fare un nome, ad «Altri Termini», fondata e diretta da Franco Cavallo) qual è il polso della situazione delle riviste in Campania?
Inverso nasce ad Aversa ma ha una redazione diffusa, come dicevo, in tutta Italia e in altri paesi. In Campania ci sono Frequenze poetiche, che ospiterà queste mie parole; L’Elzeviro, che tratta di poesia e narrativa grazie al lavoro di un gruppo determinato di studenti; Mosse di Seppia, che mi dicono stia tentando di rinnovare le sue forze. C’è poi Versipelle, un progetto che negli ultimi anni sta includendo ottimi poeti. Penso i tempi siano maturi per collaborare e aumentare gli spazi de visu della poesia.
Conosci qualche rivista campana per cui valga la pena leggerla?
Le riviste che ho citato: possono esserci contenuti più o meno interessanti, ma sono da tenere in considerazione per chi si occupa di poesia. Anche per i lettori, naturalmente, se solo ne esistessero di disoccupati…
Detto tra noi, a quattr’occhi, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista in relazione al contesto?
Frantumarlo. Dovrebbero frantumarlo, il contesto. Migliorarlo mescolando i poeti del luogo ai poeti di altrove; creare spazi di dialogo e di scontro prima che tutti parlino solo, e con soddisfazione, del proprio balconcino.
La tua rivista è realizzata esclusivamente sul web: perché avete scelto questa strada e “ignorato” il cartaceo?
Perché abbiamo scelto di operare quotidianamente. Vogliamo creare un momento, liberare una curva di tempo nei lettori; far sapere loro che ogni giorno, a orari più o meno simili, ci sarà una poesia. C’è da dire che questa scelta è dovuta anche alle possibilità di diffusione: in un anno abbiamo raggiunto più di 45.000 lettori, da poeti sconosciuti alla critica alla grande distribuzione; col cartaceo, ne siamo certi, non ci saremmo riusciti.
Per concludere: cosa ci proponi col nuovo numero e quando uscirà?
Come dicevo, pubblichiamo cinque giorni a settimana. Posso dire che il 30 novembre, per festeggiare il primo anno di «Inverso», pubblicheremo la classifica dei dieci poeti più letti tra le nostre pagine, e ne segnaleremo altri; quelli che più ci hanno colpiti. Per il futuro, invece, stiamo tentando una via ancora più a Sud, dall’altro lato del mare: chissà se ci riuscirà.