Quando si parla di eventi naturali ci si appiglia ormai ad una logica emergenziale
che delega tutto alla “prevenzione” e al potere della “tecnologia”.
Ma questo non è sufficiente
E’ stato presentato, presso la libreria Guida a Portalba, il testo “Il rischio Vesuvio – storia e geodiversità di un vulcano” (Guida edizioni) del vulcanologo napoletano Antonio Nazzaro. Il saggio, dall’approccio interdisciplinare, ripercorre migliaia di anni di relazioni tra la popolazione campana e il suo potente vulcano. Qui viene investigata la materia da un punto di vista scientifico, ma anche filologico, antropologico e, perché no?, folkloristico. La presentazione del libro non rappresenta un appuntamento della appena iniziata campagna elettorale, eppure tocca un argomento di grandissima rilevanza dato che in Campania, tenendo conto anche dei Campi Flegrei, sono due i vulcani attivi.
Ne parliamo con l’autore, Antonio Nazzaro, già ricercatore presso l’Osservatorio Vesuviano.
Nazzaro, che ruolo ha, nell’attuale dibattito politico, il tema “rischio Vesuvio”?
Nessuno. Anzi, non mi risulta che questo argomento compaia nei programmi elettorali dei candidati alle prossime regionali. Ma potrei sbagliarmi.
Come è possibile ciò in un momento in cui l’opinione pubblica è così sensibile alla tematica dei disastri naturali, basti pensare all’impatto emotivo avuto da eventi quali il terremoto dell’Aquila e quello di Haiti?
Questo genere di attenzione, in realtà , non è che un aspetto della cattiva gestione che attualmente si fa del rischio. Quando si parla di eventi naturali ci si appiglia ormai ad una logica emergenziale che delega tutto alla “prevenzione” e al potere della “tecnologia”. Ma questo non è sufficiente. Serve in realtà un’altra coscienza del rischio.
A cosa si riferisce?
Quando nel mio libro parlo di rischio Vesuvio intendo sia la minaccia recata dal vulcano alla popolazione, ma anche quella recata da quest’ultima all’equilibrio naturale del territorio. Il primo passo è l’informazione: solo nel momento in cui la popolazione che vive nell’area vesuviana sarà realmente consapevole del rischio comportato dal risiedere in quella zona, si sarà fatto un gran lavoro nel senso della prevenzione.
Basta l’informazione, allora?
Chiaramente no. Il problema va affrontato sotto molteplici aspetti. Ad esempio è pura follia il dato che in un raggio di dieci chilometri intorno al cono del Vesuvio viva un milione di persone. Ma qui la questione è di altra natura: la Campania vive unicamente sull’asse nord-sud, quello che va da Caserta a Salerno, passando per Napoli, quasi completamente lungo la linea costiera. Lungo la stessa direttrice viaggiano infrastrutture quali strade e ferrovie. Potenziare le comunicazioni verso la zona appenninica della regione, vale a dire verso Avellino e Benevento, potrebbe portare a una pacifica decongestione anche dell’area vesuviana.
I napoletani sono come i marinai i quali dimenticano che solo una tavola di legno li separa dall’abisso, diceva secoli fa il principe di Metternich ironizzando sulla capacità partenopea di sottostimare, per l’appunto, il rischio Vesuvio. Questa battuta, ahinoi, è ancora di grandissima attualità .
                                                                     Roberto Procaccini