Un’innovativa decisione in materia di mobbing arriva dalla sezione lavoro del Tribunale di Velletri.
La novità sta infatti, nella circostanza che la questione riguarda un dirigente penalizzato dall’azienda che gli fa mancare uomini e mezzi necessari per lo svolgimento delle sue mansioni. È una sentenza del giudice monocratico che ha accolto il ricorso di una manager che aveva subito una serie di trasferimenti di cui uno ritenuto illegittimo perché disposto senza dare il preavviso e sentire l’interessata (e i sindacati).
Per il giudice, tuttavia non è di per sé da ritenersi sfavorente il fatto che il dirigente sia spostato in una sede più piccola: la decisione datoriale potrebbe essere dovuta dalla esigenza di trasferire un lavoratore esperto in una struttura che ha problemi per risolvere le difficoltà. Anche se nella fattispecie non è così.
Accade, infatti, che non appena la dirigente prende posto nel nuovo ufficio, l’approvvigionamento dei mezzi necessari per lavorare diventa insufficiente. Tutto ciò è confermato dai testimoni che sostengono che prima del trasferimento del nuovo capo non vi erano queste difficoltà. In buona sostanza, per il togato è l’azienda a sgambettare la manager ormai sgradita, non dotandola del personale sufficiente per svolgere il servizio.
E’ lo stesso giudice a sostenere che il comportamento del datore risulta «ostruzionistico e defatigatorio», mentre la direzione dell’azienda evita i contatti personali e perfino telefonici con la dipendente, che tuttavia «continua a prestare servizio con impegno».
Il comportamento datoriale, peraltro, è stato foriero di conseguenze sulla salute psico-fisica della dipendente tanto che il consulente del giudice ha accertato che il mobbing ha determinato sulla donna un danno biologico permanente di natura psichica pari al 15 %, stabilendo così un risarcimento di 25 mila euro – oltre alle spese di causa – in virtù delle tabelle di Roma, preferite a quelle di Milano dal tribunale laziale perché «consentono una migliore personalizzazione del danno sotto il profilo sociale e territoriale».
Nel liquidare la suddetta somma, il tribunale ha rilevato che la dirigente all’epoca dei fatti era prossima ai sessant’anni e aveva l’incarico di direttore di sede operativa, vale a dire un livello tale da permetterle di superare il disagio lavorativo cagionato dall’illecita condotta del datore.