In una società come quella italiana dove negli ultimi anni si è istituzionalizzato il falso, il raggiro, promesse mai mantenute, leggi ad personam, ipnotismo perenne, il tentativo – insomma – di azzerare l’intelletto in favore di un materiale interesse economico, c’è ancora chi – per fortuna! –, come Pasquale Della Ragione crede nella forza propulsiva e innovativa della poesia. Evviva! Alleluia! Ma non è un compito semplice scrivere di poesia in questo periodo dove il protagonista della scena culturale è – appunto – una letteratura di consumo (a dire il vero lo è da anni), una scena dove la poesia stenta anche a trovare un posto nei cataloghi degli editori, per non parlare dell’assenza quasi totale sui quotidiani che un tempo curavano, con firme prestigiose, la cosiddetta “Terza pagina”, lo spazio dedicato alla cultura, ai libri, all’arte. La nascita della “terza pagina”, detta così perché fisicamente collocata dopo le prime due, viene attribuita al direttore del «Giornale d’Italia» Alberto Bergamini, avvenne il 10 dicembre 1901, con interventi di quattro giornalisti esperti di musica, letteratura, scenografia e mondo teatrale, che diedero risalto con le loro cronache ad un grande avvenimento del 9 dicembre 1901, la prima al teatro “Costanzi” di Roma della messa in scena della Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio dalla compagnia di Eleonora Duse. Da quel giorno, un’intera pagina, con un grosso titolo a tutta pagina, unì letteratura, arte e cultura in una sola pagina quasi autonoma rispetto alle altre.
Diceva Italo Calvino che la poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere. Per Jorge Louis Borges, ogni «poesia è misteriosa. Nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere». Intanto ‒ secondo Robert Sabatier ‒ il poeta posa delle pietre sopra il tetto del mondo; e ‒ secondo ancora Calvino ‒ la «poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere». Accidenti, in un bicchiere! Tornando alla poesia di Pasquale Della Ragione, ad un primo approccio sembra incanalarsi in un tempo dispiegato tra una seconda stagione surrealista e i prodromi di una poesia “caotica”, artefatta, disordinata che da un lato ci corteggia e dall’altro ci inquieta. Essa si dispiega sul tempo dell’attesa che, contrariamente al pensiero calviniano, più che far entrare, tende a far uscire il mare da un bicchiere. D’altronde, il tempo della poesia non è dato dall’ordinamento del significato bensì dal disordine, dall’imprevedibile, dalla variabilità, dalla contraddizione, e infine dalla complessità della polisemia, dal non-razionale. Mi sembra che in Della Ragione questo “tempo della poesia” sia ben focalizzato, superando i confini del “piacere della scrittura” per il gusto di imbattersi in quell’universo della memoria (dove spesso ci si perde), nel segno del paradosso e del riso contro la pacificazione coatta della produzione letteraria odierna. Quasi un flusso di coscienza (stream of consciousness) tra sentimenti e sensazioni, coscienza ed inconscio, realtà e sogno, poetica portata alla sua massima espressione da James Joyce con l’opera Ulisse, poi estremizzata con Finnegans Wake, dove si tenta di riprodurre il confuso linguaggio onirico.
Per comprendere la poesia di Pasquale Della Ragione va riletto Boxing day1 (pubblicato dopo alcuni anni di ripensamenti: l’ultima sua pubblicazione, Timebox, è del 2004), che significa il primo giorno lavorativo dopo le vacanze, nell’accezione che ne dà Virginia Woolf in Diario di una scrittrice (un’altra protagonista dello stream of consciousness molto apprezzata dal Nostro – si veda uno degli esergo a p. 5 a lei dedicato2 –). Ogni testo (venticinque in tutto) è un racconto ai limiti del simbolico, frammentato, dove non vi è trama, non vi è soggetto, non vi sono apostrofi né punteggiatura, soltanto la parola in divenire, dilatata, che s’insinua, appunto, sulla memoria del tempo in modo quasi automatico, in una spirale diacronica e sincronica che attraversa i diversi strati della realtà.
A questo punto, prima di riprendere la lettura di Boxing day, va conosciuto un po’ più da vicino questo poeta. È nato a Pozzuoli (NA) nel 1955 dove vive. Poeta. Ha partecipato alla fondazione di «Risvolti», di cui è stato redattore fino alla cessazione, e a diverse mostre di poesia visuale e rassegne di mail art. La sua poesia è stata dibattuta in alcuni volumi di saggistica, tra cui Domenico Cara, Traversata dell’azzardo. L’illusione irrazionale nella poesia italiana degli Anni Ottanta (Forum/Quinta Generazione, 1990); M. D’Ambrosio, La poesia a Napoli 1940-1987, a cura di (Nuove Edizioni Tempi Moderni, 1992); G. B. Nazzaro, Dibattito col poeta. Poesia a Napoli (Ilitia Edizioni, 1997); M. M. Gabriele, La parola negata. Rapporto sulla poesia a Napoli (Nuova Letteratura, 2004); G. B. Nazzaro, La poesia in Campania (Marcus Edizioni, 2006). Nel 2013, con Giorgio Moio e Carlo Bugli, ha curato l’antologia di «Risvolti» In forma di scritture (Edizioni Riccardi). Ha pubblicato: Frammenti putjolanni (Edizioni Ripostes, 1982); Imbianclinamento (id., 1983); Sunnuntai (Edizioni del Pesce Nero, 1988 – versione integrale); Messico 1936, in collaborazione con A. Carandente, G. Moio e F. Palma (Edizioni Ripostes, 1989); Fuxia gillette (Edizioni Riccardi, 1997); Locus solus. La babele capovolta, in collaborazione con C. Bugli, G. Moio e M. Papa Ruggiero (id., 2001); Timebox (id., 2004); Boxing day (Edizioni Riccardi, 2013); Sunnuntai (Youcanprint, 2015 – prosa); Dove la terra trema, con G. Moio (id. – prosa). Presente in riviste («Sorbo Rosso»; «Offerta Speciale»; «Percorsi»; «Anterem»; «La parola Abitata», «Secondo Tempo», «Il Cobold») e antologie di poesia contemporanea (La poesia in Campania, a cura di M. Sovente e B. Cepollaro, Forum/Quinta Generazione, Forlì, 1990; In my end is my beginning. I poeti italiani negli anni ottanta/novanta, a cura di A. Tesauro, Edizioni Ripostes, 1992; Mundus. Poesie per un’etica del rifiuto, a cura di A. D’Ambrosio e M. Grasso (Valtrend, 2008, Napoli), etc.
La scrittura sperimentale di Della Ragione si basa sul significante, su un accumulo proliferante di elementi inventariali carichi di nuclei sonori e ritmici, dall’inizio alla fine, su uno stile polisensico, sugli accostamenti dei fonemi in modo eterogeneo che si spostano e si rincorrono con un fare musicale (in musica potremmo definirla di “anima jazz”, dove la matrice è senza dubbio la limpidezza dell’improvvisazione) estendendosi in una giustapposizione di varianti cromatiche che non cercano soluzioni né traguardi ma un dilatarsi sul foglio a rincorrere soggetti e significati fino a farli scoppiare in una fitta germinazione di segni che s’inseguono e si annullano per un continuo gioco di combinazioni. Al sacro si preferisce il profano o in via del tutto eccezionale una razionale religiosità laica, all’io lirico l’io plurimo, alla certezza la provvisorietà della scrittura:
con un insorgere
ante arenarsi
rannicchiata
la sillaba disegnata sulla riva
ad imitazione
di profuga
ma passano le foglie
che conoscono
la radice del mondo
della coagulazione
così perfetta
da assaporare
lo pettrale che lambicca
dall ultima nebbia
dove s apre
al senso dell ape
una figura
che reclama dall alto
e spiuma
nei pensieri
che si attuano
con la goccia
sintesi
a venire
annunciata
dallo zufolare ?
delle ondine
decapitando i secoli
nel meno
che lascia
il più (p. 21).
Una dissoluzione della forma in cui tutto gira nella stessa direzione; una specie di Calvino di Collezione di sabbia, insomma: «… per temperamento sono portato a sperimentare sempre nuove ipotesi di lavoro, e sento insoddisfazione e insofferenza per ogni forma stilistica di cui io abbia già esplorato le possibilità»3. Di conseguenza, nella poesia di Della Ragione, intuitiva ed antirealistica, non ci troverete mai uno sfogo emotivo, un’acquiescenza, un lirismo mieloso, una purezza assoluta e analogica, una sottomissione – insomma – a quella che solitamente si definisce poesia del “poetese”, del “kitsch”, del “costituito”. E questa sua nuova pubblicazione ne è la prova evidente.
Con questo titolo (Boxing day) Della Ragione sembra dirci che, passato l’ozio e il rilassamento delle “vacanze”, dove la poesia è stata confinata nell’anonimato, occorre rimboccarsi le maniche e ricominciare. Anche la diversa disposizione dei testi, diversificata dal metodo e dalla metrica precedenti, ingredienti che rendevano visivamente, ad un primo approccio, i testi di Della Ragione tutti uguali, direi piatti, a blocco unico (una configurazione rettangolare, insomma: d’altronde si trattava di una sorta di sonetti, disposti in 4-3-4-3-1), è una felice sorpresa che attendevamo da tempo. Il suo contributo non si ferma – ovviamente – all’esigenza di una nuova disposizione dei testi (e delle parole) sul foglio bianco, come a voler occupare tutti gli spazi nel tentativo di affrancare le parole affinché abbiano più respiro, più corposità in contrapposizione a quella acquiescenza e quel lirismo mieloso di cui prima che – ahimè – nutre gran parte della poesia italiana, dai “maestri” e “professorini” del passato recente ai nuovi adepti. Il suo contributo è una poesia intuitiva, senza solipsismi, fatta di accoppiamenti – che approfondiremo più avanti – quasi automatici di significanti dove il filo legatore è dato dal ritmo e dal suono incalzanti, sorretti da un principio di contraddizione attratto da lineamenti “reali”, al limite dell’artificio che s’apre a una folgorante immaginazione, dilatazioni complesse inter-testuali, volutamente impopolari:
ampliare
il minuto
è ciò
che nel lago sorprende
sonorità
accesa
attrae la curva
terra con trama
di piuma bianca
e piccola corda
a lambire lo strofinio
floreale
così s apre l alba
nell acido insanabile
abito da ragnatela
su palpebre
incolonnate
un soffio che sbriciola … (p. 9)
E questo tentativo, duplice, estremamente vitale, teso tra libertà e sofferenza, di affrancare la poesia dagli spazi angusti e da un linguaggio addomesticato e conservatore, “chiuso” in ampolle di falsità, in un momento storico della nostra cultura davvero difficile, è coscienziosamente perdente che però non deprime affatto il Nostro, in quanto conoscitore della lezione dell’avanguardia (tutto è destinato al fallimento): è proprio da questa lezione, dal sentimento del rischio, pur sapendo di perdere, che si rafforza la consapevolezza di scrivere, in quanto la scrittura è comunicazione e come tale ha comunque il compito di continuare ad esistere lavorando per una via d’uscita che dia costantemente alla poesia forza propulsiva e innovativa, con un nihilismo e una resistenza contro il senso comune.
Dunque, anche la disposizione a zig-zag sul foglio, visivamente accattivante, ha una sua ragione d’essere (e non è soltanto un fattore estetico): rappresenta il faticoso travaglio cui è chiamata a sostenere la poesia che non vuole accettare il senso comune, il ricatto del mercato e della codificazione. Il verso lungo degli esordi qui diviene frammento (anche di una sola parola), e vale a significare la precarietà del linguaggio, e dal punto di vista politico, la povertà del linguaggio odierno, vuoto, sterile, decrepito, scarnificato fino all’osso. Cibandosi di configurazioni allegoriche e visionarie nel rifiuto dell’immediato, dell’hic et nunc, la poesia di Della Ragione s’incammina sulla strada del futuro, rispolverando l’utopia dell’impossibile che diviene possibile, lungo una linea di ricerca trentennale, dove le parole, in un incontro-scontro, per lo più paradossale e surrealista, tendenziosamente si proiettano in contraddizione sulla superficie della scrittura, capace di reggere l’appiattimento storico in cui oggi siamo costretti ad operare. Ed è una lunga discesa senza freni, con determinazione e consapevolezza storica del momento negativo in cui si opera, verso l’anacronismo del quotidiano, quasi rivoltato al contrario, ai confini del non-senso del ritmo onomatopeico:
(…)
con passi
sassi
boschivi remi
penetrano
nel chiaro
spoglio
dell ora segnata
in forma di cerchio
frantumazione
del chicco
con mano
annodata (p. 31).
Dicevamo della vena surrealista, ma anche realista che fuoriesce dalla poesia di Della Ragione, come un Aragon dei nostri tempi. E come il poeta francese, esprimendo con estrema convinzione un’ortodossia della “realtà” – un “realismo congetturale” («per conformarsi a quel che si pretende da esso, deve basarsi, contrariamente a quanto si è sempre creduto, non sulla realtà presente ma sulla realtà futura», in La mis à mort) , ci propone un ricco campionario di autenticità, poeticità, dirottato sulle radici di una vena sì lirica ma “disincantata” che sa mantenersi “lucida” e consapevolmente “umana” tra disarticolazioni della materia verbale che sempre più spesso – appunto – si nutre di straordinaria visionarietà, di sovrabbondanze, di esplosioni all’interno del verso. Questa poesia possiamo accostarla ad un moderno barocco, una voce – seppur non nuova – che ha il suo diritto ad esistere in questo mare nostrum, in questa pacifica e «babelica corona nelle fiamme» (p. 13). Per concludere, ciò che affiora alla fine di questa lettura è il “lasciarsi andare” dell’Autore ad una scrittura che ci consegna diverse suggestioni che agiscono nello spazio della propria memoria, alla ricerca di sensazioni per rinvigorire l’umanità in questo presente senza identità.
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1 Edizioni Riccardi, 2013, pp. 52.
2 “Eppure l’unica vita eccitante è quella immaginaria”.
3 Sono un po’ stanco di essere Calvino, in «Corriere della Sera», Milano, 5 dicembre 1984.