Dopo le polemiche che, a partire da questa estate, il Decreto 171 di riorganizzazione del MIBACT aveva già suscitato, la tensione torna ad accendersi ora che che quel decreto sta passando alla sua fase attuativa.
Uno degli aspetti della riforma è infatti la riorganizzazione delle Soprintendenze, che spesso, però, è raggiunta tramite soppressione e accorpamento: un progetto attuato con lo spauracchio dell’ottimizzazione della spesa ma che, toccando nodi importantissimi come quello della vicinanza al territorio degli istituti di controllo e tutela, è visto con timore soprattutto dai cittadini che sempre più diventano soggetti attivi e partecipi nel processo di tutela dei propri beni comuni. Infatti, per quanto addetti ai lavori abbiano denunciato le mille colpe delle Soprintendenze, “nella crisi della tutela: troppo silenzio, troppo conformismo e troppo conservatorismo” scriveva Tomaso Montanari, ai cittadini, che non hanno mai smesso di pretendere l’assolvimento di quel compito al quale i soprintendenti sono chiamati sul territorio, questa riforma non va proprio a genio ora che sta dispiegando le sue conseguenze pratiche.
In pratica
Napoli sarà sensibilmente toccata dalla riforma soprattutto attraverso lo spostamento della sede della Soprintendenza archeologica a Salerno. Con decreto attuativo il Ministero disegna un’unica Soprintendenza Archeologia della Campania e per quanto possa essere discusso, a torto o a ragione, l’accorpamento in un’unica sede regionale, ciò che appare però non necessario è il trasloco della Soprintendenza dalla sua storica, già attrezzata e gratuita, sede del Museo Archeologico Nazionale di Napoli per una nuova destinazione da approntare: «circa 200 mila euro al mese solo per acquisire una nuova sede a Salerno perché quella attuale consta al momento di due uffici e una manciata di dipendenti» ci dice Mariano Carlino, segretario della Cisl Fp, che oltre allo spreco di denaro denuncia anche i probabili interessi legati a quest’operazione «tutta politica» e che sarebbero connessi ad una volontà di controllo dei fondi europei. «Quella di Napoli è una sede storica della tutela archeologica, nata più di 200 anni fa, è dotata di specializzazione e strumenti, come gli archivi e una biblioteca di circa 70 mila volumi a disposizione di ricercatori e studenti» aggiunge Carlino; in effetti, se considerassimo quanto è stato investito per fare di Napoli un importante polo di studio sulla conservazione dei beni culturali, sembrerebbe senza dubbio antilogica la decisione di separare studenti e ricercatori, strumenti di ricerca, e oggetto della ricerca e della tutela, cioè quegli scavi archeologici di cui soprattutto Napoli abbonda e che nuove campagne di scavo promettono di implementare: «pensi cos’altro potrà far emergere il completamento della linea 1, se ad esempio un sito ‘periferico’ come quello in cui si trova il carcere di Secondigliano ci ha rivelato resti preistorici».
Le preoccupazioni
Chiunque abbia camminato a Napoli anche solo per un po’ sa quanto sia densa la concentrazione di reperti archeologici, che peraltro sono disseminati in tutta la città, da Ponticelli a Fuorigrotta. È facile immaginare quindi quanto questo spostamento possa apparire come un ostacolo ad un controllo e una tutela tempestivi rendendo più difficili, ad esempio, anche solo i sopralluogi della direzione scavi di Napoli. Inoltre sono prefigurabili anche le conseguenti lentezze e gli intoppi alla macchina amministrativa; ecco perché è la cittadinanza attiva napoletana ad allarmarsi per prima: «Lo sconcerto nell’immaginare Napoli senza una sua Soprintendenza (sede, uffici, tecnici etc) non è frutto di campanilismo ma è perfettamente logico, data la quantità di reperti presenti e bisognosi di tutela. Tutti i siti della Campania hanno bisogno di maggiore attenzione e cura, ci mancherebbe, ma cancellare la soprintendenza del capoluogo di Regione non ci sembra assolutamente il modo giusto di procedere» ci dicono gli attivisti del gruppo “Valorizzazione del patrimonio culturale” del Meetup – Movimento 5 Stelle Napoli che all’attivo hanno numerose iniziative, petizioni e sollecitazioni, indirizzate alla soprintendenza, sui reperti dei Ponti Rossi, di piazza Bellini, di piazza Calenda, e San Gregiorio Armeno: «Noi per primi abbiamo sperimentato quanto sia fondamentale l’accessibilità degli uffici e la vicinanza dei responsabili della tutela. In nome del taglio alla spesa di fatto si aumentano le spese, si allontana un presidio di tutela e conservazione dalla sua sede naturale e necessaria, si toglie garanzia e possibilità di riferimento ai cittadini, per una decisione che non ha alcuna utilità ma anzi crea svantaggi e sprechi; in effetti è una marchetta politica, forse elettorale, un sospetto diffuso che ci è stato candidamente confessato».
I dipendenti
A sostenere le preoccupazioni dei cittadini c’è il nodo dipendenti. Essi di fatto saranno costretti al trasferimento presso la nuova sede salernitana o ad un riassorbimento da parte del Museo Archeologico che, però, in virtù dell’autonomia concessagli dal DPCM n. 171 vedrà la futura nomina di un dirigente-manager esterno, e non è scontato il riassorbimento tout court, un riassorbimento che si annuncia difficile vista anche la presenza di personale variamente qualificato e inquadrato. Come non prefigurare eventuali frizioni e ricorsi?
Dall’altro lato, invece, questo spostamento richiederà nuove assunzioni? Se sì, in che modo verranno realizzate?
Non resta che attendere gli sviluppi politici della vicenda.