Tra tante voci discordi, soltanto quella di un medico può garantire la caratura scientifica funzionale ad una chiarificazione del problema.
Abbiamo chiesto al prof. Antonio Marfella, tossicologo ed oncologo presso l’Istituto Nazionale Tumori G. Pascale quanto pesi la presenza di rifiuti sulla salute dei cittadini campani.
Professore, cosa è successo e cosa sta succedendo in Campania?
E’ da chiarire in maniera drastica che parliamo di due cose distinte, che sono state fra di loro volutamente sovrapposte. La questione rifiuti urbani è una cosa, la questione sversamento rifiuti tossici ne è un’altra. Ma l’una maschera l’altra. I due aspetti sono, però, collegati, nel senso che, laddove c’è confusione, in mancanza di differenziata, è più facile sversare i rifiuti tossici. La mancata organizzazione dei rifiuti ordinari, maschera lo sversamento dei rifiuti tossici. Ci troviamo, ed è ormai chiaro a tutti, al centro di una duplice e concentrica azione di guerra autentica, un disastro finalizzato ad un commercio turpe che, di fatto, ha portato in quelle zone, prevalentemente del napoletano e del casertano, dotate di strutture viarie adeguate ad una situazione unica al mondo. Dei rifiuti industriali prodotti, una buona parte non si sa che fine faccia.
Qual è, a questo punto, la condizione sanitaria delle province di Napoli e Caserta?
Si muore di più di cancro, a causa dello sversamento dei rifiuti tossici; siamo pieni di malformazioni congenite, e corriamo il rischio, a causa della spazzatura abbandonata per mesi a marcire per le strade, di andare incontro a malattie come meningiti e diarree.
In che misura, nello specifico, i rifiuti incidono sulla qualità della vita e che ruolo giocano nell’insorgenza tumorale?
I rifiuti urbani ordinari, di per sé, non sono cancerogeni, per cui, laddove si costruiscano discariche controllate a norma, il problema, almeno dal punto di vista tumorale, non si pone. Quando, però, sono state censite le discariche, è stato visto che la situazione non è così sicura come si pensava. Un altro problema è costituito, invece, dal fatto che i rifiuti tossici sono tali per la presenza di molteplici sostanze diverse; d’altra parte, il cancro insorge come fenomeno di mancata riparazione ad una serie di impulsi che, quotidianamente, l’organismo riceve e che fanno parte della vita ordinaria di un individuo. Ogni giorno siamo sottoposti a questo tipo di “sassiâ€, per usare una metafora: il caminetto produce diossina, la macchina benzene, come la sigaretta, che ne produce ancora di più. Nella vita ordinaria siamo colpiti da un buon numero di “sassiâ€, dunque. A questi dobbiamo aggiungere, però, i rifiuti tossici industriali, con circa centomila sostanze chimiche nuove ogni anno da trent’anni ad oggi, che sono destinati ai propri cicli di smaltimento. In Campania non esiste nessun ordine, né per quanto riguarda i rifiuti delle industrie campane né, ancora meno, per quanto riguarda quelli che arrivano da fuori e che non dovrebbero arrivare. Siamo nell’ordine delle centinaia di migliaia di sostanze chimiche possibili, dunque di una possibilità di “sassi†che arrivano da ogni parte e che, in sostanza, non possiamo neanche sapere con certezza quali siano. La diossina è uno dei tanti possibili parametri, perché si accumula e si smaltisce lentamente e che rappresenta una sostanza che, come i policlorobifenili (PCB), noi non dovremmo avere, perché non abbiamo, sul nostro territorio, le industrie che la producono. Il problema non è costituito dallo stabilire un nesso di causalità , e qui la metafora dei sassi ci può essere ulteriormente di aiuto. La lapidazione, infatti, è un modo per uccidere una persona senza avere una responsabilità diretta, come accaduto a Paolo di Tarso, dal momento che, tra le pietre lanciate, una è quella mortale, ma non si sa chi l’abbia lanciata. Non è un individuo ad averti ucciso, ma la comunità , e nessuno si prende la responsabilità dell’omicidio. Riprendendo l’esempio metaforico di Paolo di Tarso, tra le pietre lanciate dovremmo trovare soltanto sassi del fiume palestinese Giordano, ma se si trovano anche pietre dell’Arenaria del Po, è lecito domandarsi cosa mai ci facciano là ! Questo è il problema reale, non stabilire nessi di causalità e cercare di capire se abbiamo, ad esempio, PCB, dal momento che PCB da noi non ci devono essere perché mancano le industrie che li producono. Ciò significa che qualcuno ha portato in Campania queste sostanze, il che non significa automaticamente che il cancro sia conseguenza automatica dei PCB che, però, indubbiamente non fanno bene al nostro organismo. E’ chiaro che, poi, a tutto questo aggiungiamo le sigarette, l’aria di Napoli dove, ogni giorno, vengono emesse dalle 1 alle 5 tonnellate di benzene per il solo traffico, ed il benzene è il cancerogeno più potente conosciuto, anche più della diossina. Non è detto, dunque, che il cancro sia frutto della diossina o del benzene, ma, per ritornare alla metafora, ci si trova nella situazione per cui, aspettandosi cento sassi al giorno, in realtà ce ne sono duecento, di cui, magari, cento non sono neanche napoletani. E, soprattutto, non va fatta confusione tra mortalità e incidenza, che sono due concetti del tutto distinti: la mortalità è quella che noi combattiamo grazie ad una serie di risultati, come la riduzione delle malattie infettive; altro è l’incidenza dei tumori, e va chiarita per bene la situazione nelle province di Caserta e Napoli, a prescindere dalle altre province, perché il problema riguarda soprattutto queste due città , dove non mi sembra che le cose vadano così bene.
Il problema sta, dunque, nelle discariche.
Questo è il punto per poter procedere non soltanto alla costruzione di discariche controllate, ma anche ad un controllo reale delle discariche, persino militare. L’aspetto principale non è il dare il lavoro, come dice Lettieri (presidente dell’Unione industriali di Napoli, ndr), ma il controllo delle discariche. E’ questo che non abbiamo avuto e che continuiamo a non avere, perché non esiste, in questo momento, una legge che protegga dai disastri ambientali: sono più pesanti le contravvenzioni penali per chi contraffa che per i disastri ambientali. In assenza di sanzioni penali adeguate noi non interrompiamo questo commercio e rischiamo ancor di più, non riconoscendo gli errori, di fornire un alibi morale a chi, fino ad oggi, ha scaricato migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti tossici e continuerebbe a scaricarli se si continuasse a dire che le discariche fanno bene. Non dico che le discariche facciano male, ma che bisogna avere prudenza e che, comunque, dobbiamo renderci conto di quanti “sassi†abbiamo avuto. Le indagini sono chiare e hanno dimostrato che i sassi sono stati tirati, sia nelle discariche a norma che in quelle illegali; hanno, inoltre, dimostrato che nei pozzi d’acqua, ad esempio, i livelli di diossina sono centinaia di migliaia di volte superiori alla norma. Una mozzarella su tre è stata contaminata; è stato necessario abbattere le pecore, perché tutte contaminate da diossina: non a caso, sono state analizzate individualmente. Mi sembra che ci sia carenza di un’adeguata informazione su quello che, invece, è accaduto sull’uomo. Questo è un ambito che pretende necessariamente uno studio maggiore e, fino ad oggi, questo non è stato fatto. L’impressione è che non si voglia fare, e la domanda è: perché non si vuole fare? La risposta sarà : perché è inutile; e, di fronte a questa risposta, bisogna ancora chiedere: perché è inutile?, dal momento che noi investiamo tanti soldi in ricerche dalla dubbia utilità . Ancora: perché, alla luce di studi di monitoraggio sulla presenza di diossina e PCB nei reduci del Vietnam, non possiamo farne di simili sui nostri pompieri, che ogni giorno devono spegnere, in media, non meno di sessanta roghi da tre anni a questa parte? Considerando, tra l’altro, che in questi roghi c’è di tutto, dall’immondizia normale a quella tossica. Perché non dobbiamo capire qual è la situazione sull’uomo, ancor di più alla luce dei risultati ottenuti sulle pecore, tutt’altro che confortanti? Dal mio punto di vista, è necessario non fare confusione, proprio perché, in questo momento, si sta volutamente facendo confusione. Io non faccio allarmismo perché non faccio confusione, innanzitutto attraverso la preliminare differenziazione tra rifiuti urbani e rifiuti tossici, sui quali dobbiamo capire cosa è successo, quanto ci sono costati e quanto ci hanno fatto male. E la cosa tragica è che lo Stato, finora non ci ha dato nessuna risposta, pur avendo ben chiara l’attuale situazione. Lo Stato ha conteggiato le vittime, il che è, però, ordinario lavoro, e nulla in più è stato fatto in tale situazione di emergenza.
Cosa sono il PCB e la diossina?
Sono sostanze che non dovrebbero esserci. I PCB sono “dioxine like†e sono prodotti da industrie sospese nel 1980. La diossina è il risultato di una serie di azioni, quali ad esempio la combustione, che qui non dovremmo trovare perchè qui non abbiamo gli inceneritori. C’è qualcosa che non va, dunque, in questa situazione, soprattutto per quanto concerne i rifiuti tossici e speciali.
Si parla tanto di inceneritore. Quanto può servire alla provincia di Napoli?
La prudenza impone che gli inceneritori non siano troppo grandi. Gli impianti grandi come quello che si vuole costruire ad Acerra sono pochi: ci sarà un motivo? In più, si vuole installare un inceneritore così grande in una zona già di per sé disastrata dalla diossina. (Il professore cita “La Repubblica†del 15/02/08 e, nello specifico, un articolo scritto da Giuseppe Liuzzo, docente di Impianti di termovalorizzazione dei rifiuti all ÌUniversità La Sapienza di Roma e consulente della Fibe) “Avendo valutato per la provincia di Napoli una capacità di trattamento complessiva di circa 600.000 tonnellate all’annoâ€: Napoli produce 1500 tonnellate di rifiuti al giorno; dal momento che la matematica non è un’opinione, la cifra indicata di 600.000 tonnellate di rifiuti, che è più precisamente di 550.000 tonnellate fa riferimento alla produzione al 100% di tutti i rifiuti napoletani. Ma deve andare nell’inceneritore, di questa quantità , non più del 20%, ovvero circa 110.000 tonnellate, che rappresenta la portata media degli inceneritori d’Europa. Cito testualmente Nicolais: cinquanta milioni di CDR in 420 impianti, cioè 120.000 tonnellate l’anno, la quale è calcolata sul 20% di questo sistema. Non si può andare oltre tale portata, perchè altrimenti non incentivi la vera ricchezza, che è la differenziata. Bisogna bruciare, infatti, soltanto ciò che non si può recuperare, ed è questo che ci contesta l’Unione europea, cioè che noi non facciamo alcun tipo di politica né di riduzione né di recupero. Se avessimo costruito un inceneritore di medie dimensioni, ad Acerra funzionerebbe già da venti anni. Il buon senso e la logica imporrebbero, dunque, di costruire un impianto sulla base delle necessità , non nelle proporzioni maggiori possibili con la scusa di produrre energia. Se mi si dice che in Francia è stato appena costruito un impianto da 600.000 tonnellate, io rispondo che l’intero Ordine dei Medici francesi ha chiesto la moratoria per gli inceneritori, perché sono molto preoccupati. E’ una preoccupazione che ha un motivo logico: se una sigaretta fa male, considerando che una sigaretta pesa un grammo, bisogna chiedersi quanto facciano male 600.000 tonnellate di rifiuti. Certo, la sigaretta fa male di più, perché l’assunzione avviene per diretta o passiva aspirazione orale, ma ciò non toglie che le 1500 tonnellate di rifiuti facciano male. Se riusciamo a bruciare soltanto 200 tonnellate, che importa che chi costruisce gli impianti non guadagna? Non ci può interessare, come dice Lettieri in modo vergognoso, che qualcuno possa guadagnare sugli inceneritori. Non possiamo ragionare così: dobbiamo ragionare in termini di salute pubblica, non di guadagno e di industria. Viviamo in una società schizofrenica, in voluta confusione su contenuti e cifre. Non si può incentivare la parte finale del ciclo, ma quella iniziale: il recupero e il riciclo, non la costruzione di impianti finali. Siamo l’unico paese al mondo che sta incentivando gli inceneritori, mentre altrove non si costruiscono più: il mondo deve andare nella direzione della riduzione di emissione di CO2 e noi costruiamo l’inceneritore più grande d’Europa? E’ un controsenso.
Esiste un pericolo nanoparticelle connesse all’inceneritore?
Per le nano-particelle esiste un problema, come per ogni cosa che esiste ma che non si misura. Sappiamo che si formano, e questo è fuori discussione, così com’è fuori discussione anche la loro potenzialità di danno. Chi costruisce gli impianti, però, non se ne importa, per un motivo molto semplice, ovvero perché non esistono, attualmente, modi di misurare le nano-particelle e, quindi, dei parametri stabiliti dalla legge. Non essendoci normative a riguardo, è come se il problema non esistesse. Parlare di nano-particelle, quindi, per chi costruisce gli impianti, significa parlare del nulla, almeno finché non saranno misurate e riconosciute dalla legge.
Perché tante resistenze da parte delle popolazioni all’installazione di discariche ed inceneritori? Hanno ragione?
E’ ovvio, perché non vengono date loro garanzie sui materiali che verranno messi nelle discariche e su come saranno tutelati. La prima cosa da fare è incentivare la differenziata, cosicché ai napoletani che abiteranno nei pressi di una discarica si potrà dimostrare che su cento chili di spazzatura ne arriveranno cinquanta. Allo Stato va chiesto il controllo vero, militare, non della spazzatura che sta per strada, ma delle discariche.
Che cos’è il sistema Thor?
E’ uno dei tanti sistemi che si stanno studiando. Ma il problema resta la portata: siamo nell’ordine di 8 tonnellate all’ora. Se gli impianti sono piccoli vanno bene, anche gli stessi inceneritori e tutti i sistemi attualmente allo studio dei tecnici sono, in effetti, di non grandi dimensioni.
Non sarebbe più intelligente, allora, utilizzare un numero minore di impianti diffusi sul territorio regionale piuttosto che utilizzare un unico grande termovalorizzatore?
Quando Brunner, l’inceneritorista di Vienna ci dice di costruire un grande inceneritore, dovrebbe ricordarsi che lui, a Vienna, non ha un solo impianto da 600.000 tonnellate, ma tre più piccoli da 200.000 tonnellate, perché ha ritenuto opportuno distribuire l’inquinamento su più punti. Ma la convenienza esiste anche dal punto di vista del trasporto, che rappresenta un’altra fonte di inquinamento e di potenziale imbroglio, nel momento in cui arrivano tutti insieme i camion, spesso in mano alla camorra. Una maggiore distribuzione di impianti, nel momento in cui arrivano le 1.500 tonnellate giornaliere sui camion, che sversano i materiali nelle discariche, avrebbe delle conseguenze ovvie: meno si distribuisce sul territorio, meno trasporto c’è, quindi meno costano le operazioni, meno si inquina e ci sono meno possibilità di imbrogli. Ma la Campania rappresenta un’eccezione in questo senso, solo in Italia si incentivano situazioni di questo tipo. In più, noi abbiamo anche inquinantissimi cementifici, non c’è alcun bisogno di altri inceneritori, perché già avremmo dove andare a bruciare i materiali differenziati. Con una meritoria azione di differenziazione, così, non avremmo neanche bisogno di aspettare l’inceneritore di Acerra. Ma la vera tragedia, ripeto, è la mancanza di differenziazione, che crea la voluta confusione, all’interno della quale si continua a perpetrare la tragedia dei rifiuti tossici, che poi costituisce, in termini di tossicologia, il vero pericolo per la comunità .
Il cancro, dunque, è in vistoso aumento nelle province di Napoli e Caserta, così come le malformazioni congenite. Il professor Marfella dunque, considera essenziale la preliminare necessità di non fare confusione tra i diversi ambiti: distinguere, innanzitutto, i rifiuti solidi urbani, la “munnezza†accatastata sui marciapiede delle nostre città , ed i rifiuti speciali tossici, che costituiscono il vero pericolo per la salute di tutti noi. Pur non parlando di un immediato rapporto di causa – effetto tra spazzatura e tumore, di difficile dimostrazione, l’oncologo ha indicato l’evidente e corposo contributo che l’emergenza campana sta offrendo alle varie concause quali fumo, smog ed altre. Un contributo per nulla indifferente, a fronte del quale, però, le istituzioni nazionali e locali sono rimaste – loro sì – del tutto indifferenti.
Il professor Antonio Marfella è oncologo e tossicologo presso l’Istituto Nazionale Tumori “G. Pascaleâ€. E’ oggi impegnato come difensore civico delle Assise di Palazzo Marigliano, di Napoli e del Mezzogiorno di Italia.