Tutto ciò che è festa, divertimento, colore, sapore, tradizione e cultura ha sempre affascinato e coinvolto il popolo partenopeo. Una delle feste più sentite e ricche di tradizioni è il Carnevale, che a Napoli ha visto la sua massima espressione durante gli anni del Viceregno spagnolo.
All’epoca il carnevale durava più di un mese e cominciava la notte del 17 gennaio, quando in onore di Sant’Antonio Abate veniva accesso “ò cippo”, una catasta di legno nella quale finivano tutte le cose vecchie da bruciare e lasciare andare via. Durante tutto il periodo di festa il popolo si esibiva per le vie e piazze principali in balli, canti e rappresentazioni popolari, obbligatoriamente in maschera.
Le prime informazioni in merito al Carnevale partenopeo le troviamo nel volume “Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”del marchese Giovan Battista del Tufo.
Nel XIV secolo la festa era riservata solo ai ricchi: i nobili mascherati partecipavano ai tornei, ai balli e alla caccia al toro organizzati dalla Corte aragonese. Nel XVI secolo l’usanza di festeggiare il carnevale con maschere e rappresentazioni si estese anche al popolo che, lungo Via Toledo e nel Largo di Palazzo (la odierna Piazza Plebiscito), si esibiva in balli e canti carnascialeschi, spesso ricchi di doppi sensi, giochi e scenette teatrali, il tutto sovvenzionato dai nobili (che amano intrufolarsi tra la folla) e organizzato dalle Corporazioni.
Ma il periodo più glorioso del Carnevale napoletano fu con i Borbone: si festeggiava in grande stile con sfilate, mascherate, e carri allegorici sfarzosi, addobbati in occasione della famosissima festa di Piedigrotta.
Questi carri erano arricchiti con vivande, cibo, salumi e formaggi e siccome il popolo era sempre affamato si verificano con consuetudine veri e proprisaccheggi, anche molto violenti. Fu cosi deciso che da quel momento i carri fossero allestiti nella piazza davanti al Palazzo Reale e presidiati dalle truppe fin quando non veniva dato il via alla sfilata. L’allestimento durava un mese e lo sparo del cannone di Castel Nuovo dava il via al saccheggio che durava pochissimi minuti.
I carri vennero poi sostituiti dagli alberi della cuccagna, dei pali ricoperti di sapone alla cui cima erano appesi caciocavalli, prosciutti, pollastri, capretti, quarti di bue, agnelli e vino. Allo sparo del cannone si dava il via all’assalto della cuccagna, che era uno spettacolo molto divertente per popolani e aristocratici: il palo essendo insaponato era molto scivoloso, così la maggior parte dei partecipanti cadeva puntualmente a terra e solo i più bravi e atletici riuscivano ad arrivare in cima e ad accaparrarsi il ricco bottino.
Ma neanche questi espedienti risultarono efficaci, le continue carestie e il popolo sempre più affamato diedero ancora vita a scontri e saccheggi sempre più violenti e il Re fu costretto a sospendere qualunque tipo di festeggiamento. Solo qualche anno più tardi, i Borbone, ristabilirono la festività, che aveva inizio col suono di grosse conchiglie dette “tofe”.
Il popolo, così, si riversava per le strade in un tripudio di colori e suoni, armato”dei classici strumenti di musica popolare come loScetavajasse (una sorta di violino dal rumore intenso tanto da essere in grado – come indica il nome stesso – di risvegliare dal proverbiale sonno le vajasse), il Putipù, il Tricchebballacche, le Nacchere e le Tammorre.
La conclusione dei festeggiamenti, di solito il martedì che precede l’inizio della Quaresima, era caratterizzata dalla “Morte di Carnevale”, una rappresentazione allegorica che imitava un vero e proprio funerale, a sancire la fine della baldoria e l’inizio del momento sacro. Durante questo rito per le vie principali della città sfilavaun carro su cui troneggiava un grasso Carnevale, ornato di provoloni, salsicce e prosciutti. Al suo seguito donne in lacrime per il suo cattivo stato di salute recitavano le infelici diagnosi dei medici dei tre rioni più popolari di Napoli ( il Mercato, il Pendino e il Porto), alle quali si contrapponevano esternazioni di buon augurio di lunga vita.
Della tradizione culinaria popolare dell’epoca ci sono state tramandate, con le dovute modifiche, diverse ricette, per lo più di dolci fritti, poveri ma molto nutrienti e gustosi.
Oltre alle chiacchiere, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, durante il carnevale a Napoli venivano realizzate delle frittelle a base di patate e farina che poi venivano rotolate nello zucchero:le antenate delle odierne graffe napoletane.
Le graffe, o zeppole di carnevale, vengono preparate solitamente durante il periodo di carnevale, ma nelle pasticcerie e nei bar di Napoli siamo soliti trovarle tutto l’anno a colazione, anche se queste ultime si differenziano dalle zeppole di carnevale perché l’impasto non prevede le patate.
GRAFFE CON PATATE, OVVERO ZEPPOLE DI CARNEVALE
Ingredienti:
- 500 g di farina 00
- 250 ml di latte
- 20 g di lievito di birra
- 70 g di burro
- 60 gr di zucchero semolato
- 1 uovo grande
- 250 g di patate lessate, pelate e schiacciate
- 8 g di sale
- scorza grattugiata di 1 limone bio
- olio di semi di arachide per friggere
- zucchero semolato per ricoprire
Procedimento:
1) Fate un panetto con 200 g di farina, il lievito e due dita di latte tiepido, lavoratelo con le mani per una decina di minuti e lasciatelo riposare coperto da un canovaccio per circa 20 minuti.
2) Riprendete il panetto e aggiungete il burro a temperatura ambiente e tagliato a pezzetti, l’uovo, le patate lessate e schiacciate, il latte restante, il sale, lo zucchero e la scorza del limone, impastate il tutto e quando sarà diventata una massa liscia aggiungete la farina restante. Lavorate per circa 10 minuti con le mani.Dovrete ottenere un impasto liscio, morbido, ma non appiccicoso (se serve aggiungete altra farina).
3) Lasciate riposare l’impasto coperto da un canovaccio per circa 20 minuti (dovrà raddoppiare il suo volume)
4) Riprendete l’impasto e ricavatene 16 palline della stessa grandezza (per staccare i pezzetti dall’impasto usate un raschietto o un coltello, ma non tirate la pasta perché questo spezzerebbe il processo di lievitazione!)
5) Appiattite le palline d’impasto col mattarello o col palmo della mano ottenendo un disco dello spessore di circa 1 cm. Con una bocchetta grande del sac a poche (o qualsiasi altro arnese utile) praticate un buco giusto al centro del disco.
6) Mettete le ciambelline a riposare su una teglia ricoperta di carta da forno leggermente infarinata per circa 40 minuti (dovranno raddoppiare il loro volume) dopodiché friggetele a fiamma moderata in olio di semi (saranno cotte quando “bussando” con i rebbi della forchetta sulla graffa faranno rumore), scolatele velocemente su carta assorbente e passatele subito nello zucchero semolato.
Non vi resterà che gustarle calde e profumate!
La settimana prossima, in previsione della chiusura delle feste di carnevale, condividerò con voi un’altra ricetta gustosissima e famosa della tradizione napoletana: il sanguinaccio di cioccolato.
Avrete, così, a disposizione tutto ciò che vi servirà per preparare un delizioso buffet di dolci tipici di carnevale della terra partenopea.