Molta poesia contemporanea si può affermare che abbia una coscienza rivolta ai problemi civili e sociali, una Stimmung, per dirla alla Nietzsche, tutta spesa soprattutto all’interno del Novecento, intesa ad attivare il dubbio delle certezze, a guardare le cose in modo diverso, marcando la problematica tra l’individuo e la società, ma senza diventare retorica: anche nella poesia di Francesco De Napoli (potentino di nascita [1954] che vive a Cassino) si riscontra una coscienza civile.
Ma la poesia può essere impegno civile e sociale?
Certo che sì! Anche se c’è chi sostiene – come lo scrittore turco Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006, che mettersi al servizio di una causa distrugge la bellezza della letteratura. A contrario, come osserva Claudio Magris, «è invece il modo in cui ci si mette al servizio di una causa che distrugge, potenzia o addirittura stimola a creare la bellezza»1.
Lontana dalle tendenze avanguardistiche storiche o recenti, la poesia riportata alla fine di questa nota, presente in La dimensione del noumeno2 (volume preso in esame per questa postilla), una summa del percorso poetico di De Napoli fino al volume citato, è votata particolarmente al senso di realtà che, proprio nella realtà circostante sa trovare la passione e la memoria, nonché l’amore per la propria terra, nel recupero di quei valori umani civili e sapienti che s’innalzano verso una metafisica della speranza: «appena un po’ più a sud / c’è sempre un altro sud. / Cieli uguali e diversi / terre che nutrono elleboro e pepe d’acqua / ovunque da tempi immemorabili…»3, come riscatto dell’uomo in una società alienata, ma soprattutto un riscatto del sud sull’ideale di Rocco Scotellaro, l’‟intellettuale organico”, modello teorizzato da Antonio Gramsci, per una «strenua difesa dei diritti di una popolazione contadina sfruttata e oppressa, quella raccontata fervidamente da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli e dallo stesso Rocco in Contadini del Sud nelle sue sfaccettature più strane o bizzarre, contro il preconcetto di una figura unica e da presepe»4.
Qui De Napoli non rifiuta affatto di essere complice della realtà, cercando rifugio, magari, come molti suoi contemporanei, nelle pastoie dell’assoluto; anzi, la realtà ha trovato il suo cantore.
«Insomma – ci dice Sandro Montalto nella prefazione a La dimensione del noùmeno, auto-antologia di poesie scelte da volumi pubblicati in precedenza che vanno dal 1979 al 2002 – la parola e il soggetto di De Napoli non dimenticano mai, come scrisse con luminosa semplicità Luciano Anceschi, che la poesia ha sempre particolari relazioni con un tempo e una società, e addirittura che la storia è quel che è anche grazie al particolare senso di realtà che la poesia porta in essa»5.
Si potrebbe definire un’allegoria del destino la poesia di De Napoli, ma anche una ferma gioia di vivere, anche nel momento dello sconforto, oltre che una caricata indipendenza e libertà; vena malinconica e triste, infine, che sovente diviene sogno, ironia, nobiltà di sentimenti di un mondo carico di ideali tra commistioni e recupero della memoria di una voce dal timbro forte attraverso un labirintico procedere che gli rendono croce e delizia: «De Napoli scrive davvero bene, il suo lavoro è solido e ben fatto; i suoi libri sono costruiti con intelligenza letteraria, una dote rara in questi tempi in cui si pubblica di tutto e tutti» (Pier Franco Donovan).
Ha scritto tanti libri De Napoli, di vario genere: di poesia (Noùmeno e realtà, 1979; Fernfahrplan, 1980; La dinamica degli eventi, 1983; L’attesa, 1987; Il pane di Siviglia, 1989; Contagi. Epigrammi, 1991; Urna d’amore, 1992; Dialogo serale, 1993; Poesie per Urbino, 1996; Nel tempo. A Ženja, 1998; Carte da gioco, 2000; Gioco/forza. Epigrammi, id.; La casa del porto, 2002; Carte da gioco. Trilogia dell’infanzia, 2011; Welfare all’italiana. Epigrammi, id.; Ventilabro. Scotellariana, 2019); di saggistica (Breve profilo della poesia italiana del secondo Novecento, 1994; Attività culturali nel Cassinate, 1995; La letteratura di protesta del Novecento, 1997; Il fiore del deserto. Omaggio a Giacomo Leopardi nel bicentenario della nascita, 1998; Del mito, del simbolo e d’altro. Cesare Pavese e il suo tempo, 2000; Graffiti poetici dall’universo giovanile sommerso, id.; Evgenij Evtušenko. Cantore dei mali del mondo, 2002; Rocco Scotellaro oltre il sud, 2003; Per una cultura del LIBRO, 2019); di prosa (Banalità, 1994; Animatore d’ombre. Professione di fede di un bibliotecario, 1996); infine anche curatele di alcune antologie (Poeti di Paideia, 1994; Ciò che non siamo. Omaggio a Montale, 1997; Il Fiore del deserto, 1998; Ritmo Cassinese, 2000).
«La mia produzione poetica – ci dice De Napoli – si snoda seguendo due diversi registri o filoni. Il primo, lirico-esistenziale, si sviluppa dipanando il sottile filo d’una memoria elaborata come simbolo ed espressione d’un mondo, quello del “profondo Sud”, ormai dileguatosi. Il secondo, satirico-epigrammatico, è impegnato nell’impietosa osservazione della società in cui viviamo, con condanna di malcostume e abiezioni.
Sono due versanti non antitetici, bensì complementari, d’una poetica volta a penetrare e abbracciare le manifestazioni più inquietanti o paradigmatiche dell’esistenza, che sembra aver rinnegato del tutto i bei sogni di libertà, fratellanza, giustizia, uguaglianza».
Si potrebbe anche definire poesia meridionalista, in quanto «s’innalza a difensore, nei fatti quanto nella memoria, di un mondo che ha creduto in qualcosa (ecco la grande discriminante) tuttavia senza essere riuscito a riscattarsi, un mondo che […] s’identifica con il Sud e le sue tematiche»6, con tutti i sud del mondo, in quanto «Appena un po’ più a sud / c’è sempre un altro sud»7.
Insomma, la poesia di Francesco De Napoli «nasce dalla necessità di recuperare con il proprio passato anche i sentimenti, che lo hanno alimentato e ne costituiscono l’essenza più vera» ‒ come scrisse Massimo Grillandi nella prefazione a L’attesa ‒, per quanto la ricerca e la sperimentazione in poesia – secondo il mio modesto parere –, costituiscono l’essenza della poesia stessa, caratteri che non sono proprio esclusi dalla poesia di De Napoli, ma non tanto quanto l’allusione e la satira sferzante o una poesia tra il gioco e l’epigramma.
Come ci dice Domenico Cara, per es., a proposito di Welfare all’italiana. Epigrammi8, «L’obiettivo primario è spingere la sperimentazione linguistica – non un semplice “gioco di parole”–, condotta direttamente sul parlato, oltre ogni riduttiva e alienata significazione, facendone deflagrare le becere contraddizioni interne con un’im/mediata capacità di trascrizione»9, rifacendosi addirittura a un Cesare Pavese, come afferma Mario Santoro: «La rievocazione si affida a un linguaggio poetico che sa mantenersi chiaro, lineare, ai limiti del denotativo anche quando evidenzia connotazioni multiple. Si affida quasi ad un conversativo-meditativo nello sforzo di tenere a bada la tensione emotiva e sulla linea di una consapevole umiltà, in un discorso che tende all’orizzontalità, ossia al riflessivo, quasi un parlare poetico che potrebbe richiamare, per certi aspetti, a Cesare Pavese»10.
Le radici del poeta formano la ragione prima della sua ispirazione e muovono accortamente le acque di una nostalgia che non riesce a farsi rimpianto, ma resta sempre sottesa alla necessità di instaurare, con se stesso e con gli altri, un colloquio inteso a farsi discorso universale:
In questo notturno lucano
ombre e silenzi lunari
sanno tutto di noi.
Si da il caso che girandole di nubi
misurano palpiti d’anni luce.
Nell’affannosa abusata veglia
complicità spettrali come stoppie consumano
remote tremule speranze.
Qui l’incontro, la ventura di nascere
fra scale e vicoli celesti.
Più su non si può…
Esposto al vento delle colline
ora bevo alla gelida fonte d’un tempo,
perenne come puro spirito.
E piango.
(da La dimensione del noùmeno, op. cit., p. 26)
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1 C. Magris, Il cuore freddo degli scrittori, in «Corriere della Sera», 21 ottobre 2007.
2 Ed. Joker, Novi Ligure, 2003.
3 F. De Napoli, da La dimensione del noùmeno, p. 41.
4 G. Fofi, Scotellaro. La voce del Sud in un filo d’erba, in «Avvenire.it», 14 dicembre 2013.
5 S. Montalto, Pref. a La dimensione del noùmeno, op. cit., p. 6.
6 Ivi, p. 7.
7 F. De Napoli, da La dimensione del noùmeno, op. cit., p. 41.
8 Op. cit.
9 D. Cara, I turbamenti del gioco sociale, Prefazione a F. De Napoli, Welfare all’italiana. Epigrammi, op. cit., p. 4.
10 M. Santoro, Il percorso poetico-letterario di Francesco De Napoli, Prefazione a F. De Napoli, Carte da gioco. Trilogia dell’infanzia, op. cit.,p. 7.