Come migliorare la qualità delle immagini catturate dai telescopi, superando il limite strutturale rappresentato dal diametro delle loro lenti o specchi? Un team di scienziati svizzeri del Politecnico Federale di Zurigo ha pensato diimitare quel che fa il cervello umano con la realtà che ci circonda.
La scommessa dei telescopi del futuro, come illustrato in uno studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, potrebbe essere rappresentata dalle cosiddette reti neurali, sistemi computazionali che imparano da soli, come fanno i neuroni.
Più grande è una lente o uno specchio di un telescopio e maggiore sarà la quantità di luce che può raccogliere. Di conseguenza, migliore la sua capacità di osservare oggetti celesti tenui, e catturarne i dettagli.
Per questo, gli astronomi parlano di ‘apertura’ di un telescopio. Ma questa caratteristica ha un limite strutturale, che adesso gli studiosi svizzeri vogliono aggirare, grazie ai progressi nel campo dell’intelligenza artificiale.
I ricercatori svizzeri hanno insegnato a una rete neurale, con capacità di autoapprendimento simili a quelle delle cellule nervose, le caratteristiche principali di stelle e galassie. E, attraverso il confronto tra immagini a diversa risoluzione, l’hanno istruita a migliorare la qualità delle immagini astronomiche.
La scelta degli autori è stata di utilizzare due reti neurali che competono tra loro. Il processo di autoapprendimento dei programmi ha richiesto solo alcune ore di lavoro con computer ad elevate prestazioni.
Gli esperti di intelligenza artificiale sono sempre stati affascinati dall’enorme mole di dati prodotta dalle osservazioni astronomiche. Per testare l’efficacia delle loro reti neurali, gli autori hanno, ad esempio, adoperato immagini di regioni di intensa formazione stellare, o di nubi di gas e polveri intergalattiche.
“Possiamo iniziare applicando questo nuovo sistema alle varie survey fatte dai telescopi negli ultimi anni. In questo modo – spiega Kevin Schawinski, coordinatore del team svizzero -, potremmo vedere più dettagli e, ad esempio, imparare di più sulla struttura delle galassie. In futuro – conclude lo scienziato -, si potrebbero applicare le reti neurali alle osservazioni che farà il James Webb Space Telescope, per imparare di più sulle strutture più antiche dell’Universo”.