Lo scorso 23 febbraio la Comunità europea ha presentato una proposta di direttiva sulla dovuta diligenza allo scopo di incoraggiare il percorso verso la transizione ecologica e la tutela dei diritti umani. Un passo importante, questo, verso un’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’azienda. Un concetto che non si limiti alla presentazione di un bilancio sociale o alla sovvenzione di un’impresa no profit ma invogli le imprese a impegnarsi ad attenuare gli effetti negativi della loro attività sull’ambiente e sui diritti umani. Benedetta Frare, Responsabile comunicazione di Fairtrade, l’organizzazione internazionale che tutela e migliora il lavoro dei produttori agricoli nei Paesi in via di sviluppo, ci spiega perché in materia di responsabilità sociale d’impresa c’è ancora tanta strada da fare.
Dottoressa Frare, la responsabilità sociale d’azienda è affidata alla volontà delle singole imprese. La proposta di Direttiva sulla dovuta diligenza presentata dalla Commissione Europea che segnale rappresenta?
Dal nostro punto di vista, l’attuale proposta è un buon punto di partenza per i successivi negoziati, dato che la Commissione riconosce la necessità di coinvolgere intere catene di fornitura, le parti interessate e di riformare le pratiche di acquisto. Le grandi imprese che vendono nel territorio europeo saranno costrette a mettere fine a gravi violazioni dei diritti umani e ambientali lungo le proprie filiere: si tratta quindi di una grande chance per i contadini e i lavoratori di ottenere un migliore sostentamento e un maggiore rispetto dei diritti umani. Ciò che è importante tuttavia è che i costi sociali e ambientali dell’applicazione delle regole che verranno non ricadano sui contadini, ultimo anello della filiera.
Che senso ha coinvolgere, in questa proposta della Commissione Europea, solo le grandi imprese?
La proposta attuale prevede che solo le grandi imprese, cioè con fatturato superiore a 150 milioni di euro e più di 500 dipendenti, siano considerate legalmente responsabili delle violazioni generate direttamente o indirettamente dalle loro attività. In settori ad alto rischio come agricoltura, tessile ed estrazioni minerarie la soglia scende a 250 dipendenti con ricavi superiori a 40 milioni di euro. Tuttavia la stima è che si tratti solo dell’1% delle imprese europee – circa 13 mila. Il rischio è che il tessuto delle piccole e medie imprese che popolano il nostro continente ne resti fuori – e con esse molti tra i lavoratori più vulnerabili delle filiere.
Quali elementi dovrebbe avere una legge sulla dovuta diligenza per essere efficace?
L’attuale proposta non riesce a stimolare una collaborazione concreta all’interno delle catene di approvvigionamento, e riguarda solo le “relazioni commerciali consolidate”. Pertanto le aziende che evitano relazioni a lungo termine e mantengono una serie di fornitori a breve termine potrebbero continuare a ignorare i diritti umani e le questioni ambientali nelle catene di approvvigionamento. Ciò di cui abbiamo bisogno è un dialogo significativo e una collaborazione duratura tra tutti i soggetti coinvolti. Da ultimo, eventuali vittime di violazioni non sono sufficientemente supportate nel processo di denuncia e questo è un grande deterrente per i più deboli nella speranza di ottenere giustizia.
Il bilancio sociale presentato dalle aziende è uno strumento indicativo dell’impegno sociale? Quali sono le voci che ricorrono più frequentemente?
Il bilancio sociale è sicuramente uno strumento importante per raccontare l’identità delle aziende e promuovere il cambiamento nelle pratiche delle imprese, che affiancato ad uno strumento di vigilanza valido, rappresenta un indicatore dell’impegno di una compagnia. Tuttavia le violazioni di cui parliamo a proposito di due diligence sono così gravi e radicate in alcuni processi produttivi e nella storia di paesi che probabilmente non è uno strumento sufficiente per bloccare meccanismi e prassi pericolose considerate magari fino ad oggi legittime: vi è comunque la possibilità di eludere o bypassare alcune tematiche.
Alcuni Stati stanno legiferando in materia di dovuta diligenza, a che punto siamo in Italia?
In Francia, Germania e Svizzera esistono già delle leggi nazionali vincolanti in materia. In Italia invece siamo invece agli inizi. Fairtrade Italia è tra le organizzazioni del terzo settore del nostro paese parte del network Impresa2030 che nasce proprio con l’obiettivo di sensibilizzare la politica e l’opinione pubblica sul tema della due diligence.
Immagine di copertina: Kenya coffee producers : Fairtrade / Nyokabi Kahura / Fairpicture