ci sono anche
fiumi che se ne vanno
secondo il senso della
fiumità e fiumi
che / rinunciano /
che
se ne vanno
secondo i /
sensi
ESATTAMENTE
contrari
i fiumi che perdono
il senso della fiumità
affondano in se stessi
navigano sul fondo (p. 23).
Con la rilettura di questo volume di Corrado Costa, pubblicato nel 1987 dall’editore Il Vicolo del Pavone di Piacenza in 700 copie numerate (pp. 30), grazie all’interessamento dell’amico artista e poeta William Xerra, mi dà l’occasione di commemorare il suo trentennale dalla morte, avvenuta nel 1991 a Reggio Emilia. Il poeta ci presenta ritagli di testi a stampa e disegni con la biro e acquerelli per una moltitudine di voci che s’inseguono e si ribaltano all’unisono, dove lineamenti verbovisuali e calligrafici si sovrappongono ai versi stampati fino a fondersi e a snodarsi in una progressiva identificazione di “sogno” e “realtà”: il tutto tritato dal grottesco e dall’allegoria, da ciò che è e ciò che vorrebbe essere. La tendenza è quella di invertire costantemente il processo delle cose, ciò che contengono tra significato e significante, in modo da poter vivere quotidianamente la possibilità di una nuova ipotesi di poesia, in grado di smantellare le false certezze di una cultura ufficiale. Ma non si creda che sia un’azione tutta in discesa o in surplus, lo strazio e il dolore, celato da una verve ironica, che avvolgono lo stato d’animo del poeta, non può che condurci al fallimento.
Tuttavia il poeta è una sorta di sadico, di masochista, un testardo che non si ferma davanti a niente, neanche di fronte al proprio annunciato fallimento. D’altronde la poesia non è altro che rendere un’azione impossibile in una azione possibile. Certo è utopia, e cosa sarebbe la vita in una realtà distorta ed appiattita senza un briciolo di utopia?
I fiumi (il fiume è uno degli elementi al centro del suo discorso poetico che troviamo già nei testi giovanili: il concetto di fiumità), probabilmente ‒ secondo il poeta ‒, sono paragonati agli esseri umani: ci sono quelli che vivono nel rispetto delle regole e dell’altrui (… vanno / secondo il senso della / fiumità…) e quelli che vivono secondo una propria visione della vita (… se ne vanno / secondo i / sensi…). I primi abitano la “superficie” in simbiosi con l’ambiente che li circonda, mente i secondi implodono su se stessi abitando il “fondo” dell’esistenza. Ma possono anche essere intesi come classi sociali: il benessere nella sfera alta della vita, la povertà in quella bassa, sempre più spesso relegata ai margini della società. Comunque, ogni testo conserva sempre un quid di irriducibilità, un nihilismo, una funzione orizzontale sincronica e zigzagante:
Ho visto un fiume scorrere in un film muto
nel film ho visto un pescatore che parlava del fiume
più va lontano più aumenta la sua forza
e il suo volume
più va lontano più perde la sua forza e il suo volume
verso un bassifondo, verso un grigio, un fuoco,
va per terra appiattito e sperpera i suoi colori
verso che foce va la parola fiume / che voce (p. 28).
Finzione, gioco, ironia, rovesciamento del senso diventato “corpo” e “voce” di una “allegoria del nuovo”, di una speranza di scrittura conflittuale e avventurosa, tesa tra un corpus materico e una visione dinamica del mondo, nel tentativo di far saltare la storia, un po’ alla Walter Benjamin, per intenderci: «la coscienza di far saltare il “continuum” della storia è propria delle classi rivoluzionarie nell’attimo della loro azione. […] Al concetto di un presente che non è passaggio, ma in bilico nel tempo ed immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive la storia. Lo storicismo postula un’immagine eterna del passato, il materialista storico un’esperienza unica con esso. Egli lascia che altri sprechino le proprie energie con la meretrice “C’era una volta” nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per far saltare il “continuum” della storia» (dalla Tesi di filosofia della storia):
noi d’inverno
vediamo sotto i ponti di legno
fiumi
degli anni precedenti
sotto l’ombra dei ponti
chi chi
di chi
è la voce?
chi? chi? come si chiama
il poeta che navigando in me stesso
sale lentamente
e scorre in senso
contrario il senso
delle cose che dico? (p. 25).
La lingua si carica fino a esplodere per poi ricomporsi nel luogo di un infinito senza infinito. Spinta fin nelle molecole più invisibili ed esposta a una logica eterogenea e contraddittoria, viene qui (come nella maggior parte dei volumi di Costa) presentata come materiale già esistente, di scarto, di cui Costa tenta di mostrare, con sovrapposizioni di una manualità “che scorre”, appunto, come un fiume, strutturalmente “ribelle” anche se con un “andamento lento”, alcune delle infinite rappresentazioni insite in essa.
Dunque perdita si una poesia “senz’aura”, di un rinnovamento “insoddisfatto”. Qui ci viene in soccorso ancora Benjamin: «Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che al momento attuale non è ancora in grado di soddisfare». Insomma si tratta di rappresentare un’immagine di un sogno, di una utopia ‒ un sogno e una utopia forse irraggiungibili cui credere però ‒:
L’immagine del fiume
va nello stesso senso del fiume.
L’immagine di Greta Garbo
va in senso contrario (p. 27).
Sembra che il poeta si domandi: «Ha un senso vedere un film in bianco e nero di Greta Garbo o correre a ritroso, come se si volesse riavvolgere il nastro della vita, lungo il fiume d’acqua limpida o ha senso fare nessuna di queste due azioni?». Due domande senza risposte (mi piace raccontare, però, che NON deve cominciare a scorrere un fiume, p. 9), senza la funzione del vedere, del sentire, del camminare, del surrealizzare, del toccare e del gustare, sinestetiche elevazioni di volte sul mare dove il fiume muore con parole che bucano l’azzurro del cielo, elevandole a potenza giocosa di una inesauribile utopia. Che non è altro, poi, il film della vita, il correre attentamente lungo il fiume in senso contrario e raccogliere immagini e suoni vivibili e abitabili che col correre freneticamente (come l’esistenza di ogni uno di noi in questa società stravolta dal potere economico e sfruttatori incalliti) lungo il fiume in senso “normale” abbiamo dimenticato di immagazzinare nella nostra memoria, nelle nostre azioni quotidiane per un miraggio di una migliore collocazione in società. Dunque, occuparsi, approfondirsi, obbligarsi a correre lungo il fiume contrariamente alle sue placate acque, non certamente vedere un film di Greta Garbo che neanche Greta Garbo vede più; non certamente vedersi e ammirarsi, ma scorrere scorrere, pur con la convinzione di rimanere intatti, rimanere intatto, ma questo che noi chiamiamo rimanere e scorrere è parlare di noi (p. 19); è parlare di quei fiumi-azioni che non si sono ancora mossi, che non si possono vedere, che si sentono solamente scorrere (p. 17).
D’altra parte non sarebbe di aiuto a nessuno se: a); b); & c) [funzione sciamanica, linguaggio politico e mercificazione] prendessero il posto della volontà nichilista di correre lungo il fiume, di cambiare il mondo non prima di aver tentato di cambiare il corso del fiume, di cambiare il suo modo di scorrere o fare come quel proverbio cinese: «Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico».
Il correre del fiume e il nostro correre hanno molte similitudini ed esigono di essere inquadrati in una progressiva identificazione di sogno e realtà dove i derelitti, gli ultimi, gli umili, gli sfruttati e i perdenti vivano il quotidiano in modo soggettivo e non come cose, come personaggi di un film di Greta Garbo che stiamo vedendo ma come Greta Garbo nel nostro. Che cos’è in fondo la poesia se non rendere possibile l’impossibile?
Senso o non senso; utopia o realtà; razionale o irrazionale; materia o spirito. Quello che sembra è che il mito di Greta Garbo non attraversi Costa ma il mito del “nuovo”; il mito del “nuovo” sta a significare ribellione contro tutto ciò che ci lascia convincere che niente di nuovo esista, e nel momento che esiste è già vecchio. E tutto si perde, la realtà diventa inconciliabile con la vita dei derelitti per colpa del cinismo qualunquista più vieto delle strategie politiche. Ma i fiumi che perdono il senso della fiumità restituiscono rive che non si oppongono a immagini irriflesse, questi sono fiumi che perdono ( per così dire) la propria identità (p. 24).
E intanto il fiume sta fermo ma sotto si muove, fiumeggia risalendo la corrente: «Un NILO (per così dire) se perde la propria identità, se perde il senso del NILO, della NIHILITÀ risale lentamente alle sorgenti del niente» (ibid.) dove si vedono Greta Garbo e lo stesso Corrado Costa che rimangono intatti.
Si tratta infine anche di una ricomposizione di memoria in cui l’impossibilità che emerge è anche uno stimolo a riconoscere qualcos’altro; giacché parlare di poesia è parlare di un’approssimazione; è generare un’esigenza che non è mai in grado di soddisfare nel momento della composizione: l’indagine critica e il compito dell’arte non possono che svolgersi sul limite dell’impensato.
nota: nel testo, in corsivo, sono citati versi di Costa in forma prosastica per evidenti esigenze di scrittura.
* Corrado Costa è nato a Mulino di Bazzano (PR) nel 1929 ed è morto nel 1991 a Reggio Emilia, città dove ha vissuto ed esercitato la professione di avvocato. Nei primi anni sessanta stringe una duratura amicizia con Giorgio Celli, Antonio Porta, Nanni Scolari e Adriano Spatola, coi quali fonda «Malebolge», una rivista di letteratura d’avanguardia, parasurrealista. Più tardi entra nel Gruppo 63, restando ai margini del gruppo, considerato un dilettante d’ingegno.
S’infoltiscono le riviste letterarie con cui Corrado Costa collabora: «Il Verri»; «Quindici»; «Nuova Corrente»; «Revolver»; «Tam Tam»; «Alfabeta»; «Cervo Volante». Numerose sono state anche le pubblicazioni, plaquettes spesso di un centinaio di copie, poemi inseriti in cataloghi di amici pittori, etc.: Pseudobaudelaire (Scheiwiller, Milano, 1964; 1986); Blanc, in collaborazione con Claudio Parmiggiani (id., 1968); L’equivalente (id., 1969); Inferno provvisorio (Feltrinelli, Milano, 1971); Per una teoria delle ombre (La Nuova Foglio, Macerata, 1971); Tre poemi-flippers, in collaborazione con William Xerra (Studio Sant’Anna, Milano, 1972); Invisibile pittura (Editrice agma, 1973); Santa Giovanna Demonomaniaca (id.); La sadisfazione letteraria (Cooperativa Scrittori, Milano, 1976); La piedra colectiva – Canciones con movimiento, in collaborazione con Nanni Balestrini (Exit Ed., Forlì, 1978); The Complete Films (Red Hill Press, Los Angeles-San Francisco, 1983); Il fiume (Edizioni Vicolo del Pavone, Piacenza, 1987). Artista poliedrico, negli ultimi anni ha preso parte a molte letture di poesie in pubblico in varie parti del mondo e più volte a Milano-Poesia, un appuntamento tra i più importanti della performance poetica. Si è occupato di poesia visuale, sonora, di pittura ed ha prodotto una quantità di disegni su ogni tipo di carta; nell’88 inventa un personaggio, Frank il Bacillo, una serie di minuscoli disegni che Valerio Miroglio gli pubblica, per più di un anno, sul «Bollettino della Vittoria», il mensile più piccolo della storia e del mondo.