80 anni fa si consumava il rastrellamento del ghetto di Roma. Quel 16 ottobre del 1943 è passato alla storia come il sabato nero. L’operazione, partita alle prime luci dell’alba, portò alla deportazione di più di 1000 ebrei romani. Riuscirono a salvarsi coloro che furono aiutati da concittadini coraggiosi mentre dal campo di sterminio fecero ritorno solo in 16.
Una notte particolare
Doveva essere una notte come tante altre per Davide, una notte di lavoro. Una notte come poteva essere quella di un fornaio ebreo omosessuale alla fine del ’43. Fino a un certo punto lo era stata, Davide aveva impastato e infornato diverse forme di pane e l’alba era ormai vicina. Poi, a un certo punto, tutto cambiò.
Poche parole tra il suo titolare e un camerata e capì che il pericolo era imminente. In meno di un’ora, i nazisti avrebbero circondato il ghetto di Roma e portato via i suoi abitanti. Davanti a Davide si aprì un bivio: avvisare per primo il suo amato Simone o tutti gli altri. Scelse la seconda opzione e il peso di quella scelta la portò con sé per tutta la vita.
“La finestra di fronte”, di Ferzan Ozpetek, è uno dei film che, seppur relativamente recente (2003), ci restituisce con profonda emozione quella pagina storica della città di Roma e dell’Italia che è stata il rastrellamento del ghetto del 16 ottobre 1943.
Gli Ebrei a Roma
Dopo quasi 40 giorni dall’annuncio dell’armistizio, l’Italia era divisa in due: il Sud era stato liberato dagli Alleati, mentre il Centro e il Nord erano occupati dalle truppe naziste. Situazione che imponeva ai tedeschi di portare a compimento con particolare sollecitudine la soluzione finale della questione ebraica. Roma era stata occupata dai nazisti già il 10 settembre e il ministro dell’Interno Himmler aveva ordinato al tenente colonnello delle SS, comandante della Gestapo a Roma, Herbert Kappler, di procedere con il trasferimento in Germania di tutti gli ebrei, di qualunque nazionalità, presenti nella capitale.
L’attuazione del piano ebbe inizio a fine settembre quando Kappler convocò il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ugo Foà, e quello dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Dante Almansi. Il comandante delle SS intimò loro la consegna di almeno cinquanta chilogrammi d’oro nell’arco di 36 ore, pena la deportazione in Germania degli ebrei della comunità romana. Se avessero consegnato quanto richiesto, invece, avrebbero ottenuto l’incolumità. L’oro richiesto fu consegnato, anche se qualche ora dopo quella stabilita, ma gli ebrei furono tutt’altro che al sicuro.
Il rastrellamento del ghetto di Roma
All’alba del 16 ottobre, iniziò un’operazione di rastrellamento studiata nei minimi particolari. Si iniziò ostruendo le vie di accesso al ghetto. Il giorno non fu scelto a caso: era un sabato, giorno di riposo, si aveva, dunque, la certezza di trovare gli ebrei nelle loro case. Grazie al censimento degli ebrei effettuato anni prima da Mussolini e un ulteriore censimento condotto nelle settimane precedenti l’operazione, gli ufficiali tedeschi riuscirono a scovare i loro ricercati uno per uno nelle proprie case.
Quel giorno furono rastrellate 1259 persone: 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine. Da questi furono esclusi gli ebrei meticci, figli di coppie miste e due giorni dopo furono deportati 1023 ebrei direttamente al campo di sterminio di Auschwitz. Di questi si salvarono solo in 16: 15 uomini e una donna.
Tra i superstiti non ci fu Simone, il personaggio del film di Ozpeteck.