“Io mi chiamo Pasquale Cafiero e son brigadiero del carcere oiné” inizia così Don Raffaè, la famosa canzone di Fabrizio De André, nella quale Raffaè sta per Raffaele Cutolo. O almeno così credono in tanti. Faber non conobbe mai personalmente il fondatore della Nuova Camorra Organizzata né volle dedicargli una canzone. Il personaggio al quale si ispirò fu piuttosto l’eduardiano Sindaco del Rione Sanità, Antonio Barracano. Il boss al quale la gente si rivolgeva per risolvere problemi o per chiedere consiglio. Eppure, con questa canzone, De André tracciò uno spaccato di quelle che erano le condizioni di certe carceri italiane, specchio di uno strano rapporto Stato criminalità organizzata. E ora, con la morte di Raffaele Cutolo, questa canzone non può non tornare in mente.
Raffaele Cutolo cantato da De André e non solo
Come non può non tornare in mente il film “Il camorrista” di Giuseppe Tornatore, tratto dall’omonimo romanzo di Joe Marrazzo. Qui i riferimenti al boss di Ottaviano sono espliciti. Fondati sulle diverse inchieste e interviste fatte dal giornalista salernitano su Cutolo stesso e sulla camorra più in generale. Grazie al suo lavoro riuscì a ricostruire la vita del professore, dal primo omicidio ai tempi d’oro, quando era rispettato dentro e fuori il carcere. La nascita della Nuova Camorra Organizzata, la sanguinosa guerra con le altre famiglie, i rapporti con la mafia anche americana, la ‘ndrangheta, la Banda della Magliana, parte dei servizi segreti nella mediazione per il rilascio dell’assessore Ciro Cirillo. Anche se in chiave romanzata, il libro, e poi il film, riescono a raccontare quel torbido intreccio tra Stato e malavita organizzata.
Detenuto Raffaele Cutolo, basta!
Quello stesso intreccio che con grande coraggio denunciò Ciro Paglia in uno dei suoi articoli passati alla storia. Nel pezzo datato 26 ottobre 1980, il redattore de “Il Mattino” denunciò tutto il sistema, marcio dall’inizio alla fine. La pubblicazione di quell’articolo per il professore rappresentò una sfida alla quale bisognava rispondere con minacce e ritorsioni. Ciro Paglia, infatti, fu costretto a vivere per tre anni sotto scorta e per alcuni anni visse lontano da Napoli. Tornò nella sua città quando Cutolo non rappresentò più una minaccia visto che era stato trasferito al carcere dell’Asinara.
Di fronte al signor Cutolo Raffaele, di professione pregiudicato, in arte sceneggiatore di storie camorristiche (con tanto di abbracci, baci e ossequi da parte di un certo mondo «insospettabile») le cosiddette «istituzioni dello Stato» sembrano incerte, contraddittorie, per non dire riluttanti.
Ciro Paglia, Imputato Cutolo Raffaele, ora basta, Il Mattino 26 ottobre 1980
Il professore
Il suo intellettualismo, l’eleganza con la quale si presentava alle udienze in tribunale, la sua arguzia nel riorganizzare l’attività criminale gli guadagnarono il soprannome de “Il professore” (in realtà aveva conseguito solo la licenza elementare). Il potere che aveva acquisito, con la debolezza indiscussa di chi non riusciva a contrastarlo, alimentò il mito per la sua persona: altro che “briganti, papponi, cornuti e lacchè“.