E’ una tappa obbligata per chi si sia appassionato alle vicende e alla produzione artistica di John Keats. Una passeggiata tra i fiori e gli alberi secolari, vi farà dimenticare di essere in un cimitero e vi accompagnerà attraverso un percorso suggestivo e inusuale.
Ci troviamo a Roma. Tra le tombe di grandi artisti e personalità del passato, incastonate tra siepi e vialetti, si erge imponente la Piramide di Caio Cestio. Questa massiccia struttura, costruita tra il 18 e il 12 a.C., sovrasta il cimitero e gli conferisce un’aura ancora più misteriosa e arcana. Caio Cestio, uomo politico romano, ordinò nel suo testamento la costruzione del proprio sepolcro a forma piramidale in 330 giorni, pena la perdita dell’eredità da parte dei suoi discendenti. Questi ultimi, decisamente “poco meticolosi” rispetto ai posteri dei giorni nostri, pur di non perdere il ricco bottino, terminarono l’imponente costruzione addirittura con alcuni giorni di anticipo.
Chi si sofferma davanti alla tomba di Keats, ne può ammirare la bellezza e al contempo immaginare lo stupore che provarono gli inglesi di fronte ad un paesaggio così suggestivo. Charlotte Anne Eaton (1788–1859), una scrittrice di viaggi inglese descrisse così la sua visita al cimitero nel 1818: «La calma e l’isolamento del luogo, la delicata verzura della terra, l’eterea lucidità del cielo, le tombe di ieri ai nostri piedi e l’orgogliosa tomba del romano che morì 18 secoli or sono, cui fanno sfondo i cupi bastioni delle vecchie mura della città, tutto era in armonia con la profonda calma della scena e il cuore ne sentiva la melanconica bellezza » [1].
Si, “melanconica bellezza”, perché al tempo di Keats il cimitero era un campo aperto e, come racconta l’amico Joseph Severn nel suo epistolario, conteneva circa una trentina di tombe. Oggi questo spazio verde fa parte della zona Antica del cimitero, quella relativa al ‘700- ’800, e già dall’ottocento, in questo posto era vietato inumare le persone. “Melanconica bellezza” anche perché la vista di questo luogo ci rimanda inevitabilmente al concetto romantico della morte, tipicamente nord europeo, con prati all’inglese e splendidi bassorilievi. E.Shelly che visitò il cimitero dopo la morte di Keats dirà: «si potrebbe innamorarsi della morte, al pensiero di dover essere sepolto in così dolce luogo» [2].
E’ vero.Ciò che cattura immediatamente la nostra attenzione e che inconsciamente, probabilmente, ci pervade di uno strano senso di inadeguata serenità, è la totale assenza di fotografie sulle tombe. I volti dei defunti che ci scrutano e che inevitabilmente ci ricordano che la dipartita da questo mondo è affar di tutti, qui non ci sono. La serenità che si percepisce attraversando i vialetti costellati di tombe, sembra quasi trasportarci in una dimensione superiore, dello spirito, che si è allontanata da quella terrena, rimarcata dalle immagini dei defunti. Davanti alla tomba di Keats c’è una panchina: sedativi e ascoltate la lingua del paesaggio.
Le violette erano i fiori preferiti di Keats. Ancora oggi alcune di esse fanno timidamente capolino attorno alla sua tomba, quasi a memoria della sua lontana passione per questi splendidi fiori. Poco prima di morire, Keats chiese al suo caro amico Severn di andare a vedere il cimitero per suo conto e riportargli una descrizione del posto:« (…) Volle che andassi a vedere il luogo dove sarebbe stato sepolto e fu soddisfatto della mia descrizione della Piramide di Caio Cestio; dell’erba e dei molti fiori, in special modo delle innumerevoli violette, che vi crescono; ed anche di un gregge di pecore e di capre e di un pastorello che avevo veduto: tutto ciò gli piacque e l’interessò. Le violette erano il suo fiore preferito: mi disse che gli pareva di sentirle già crescere sopra di sé….» [3].
Entrando nella parte Antica del cimitero, la tomba di Keats si trova a ridosso del muro, nell’angolo più remoto del prato. Sulla lapide, è scolpita una lira con e le corde spezzate come la sua giovane vita, e sotto il seguente epitaffio voluto dagli amici Severn e Brown:
«Questa tomba contiene resti mortali di un giovane poeta che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua – 24 febbraio 1821».
Queste parole ci rimandano al costante dolore che pervase la vita del giovane poeta fino alla fine dei suoi giorni, interrotti prematuramente alla giovane età di 25 anni. John Keats aveva sofferto tantissimo in vita per essere stato crudelmente attaccato dalla critica del tempo, che non lo considerava affatto un poeta di talento. La tradizione vuole che siano state quelle critiche brutali ad ucciderlo, ma non fu cosi. La tubercolosi perseguitò la sua famiglia e presto raggiunse anche lui. Keats aveva una profonda fiducia nel suo talento e sapeva che un giorno lo avrebbero ricordato nell’olimpo dei poeti ma che non avrebbe avuto il tempo di assaporarne la gioia; lui stesso scriveva: «(…) credo che dopo la morte sarò tra i poeti inglesi». [4]
Immediatamente accanto a quella Keats, è posta la tomba di Joseph Severn, l’amico fedele che, nonostante le critiche di amici e conoscenti, gli è stato accanto con amabile devozione fino al momento dell’ultimo respiro. Sulla sua tomba sono stati incisi i suoi “strumenti” da lavoro, la tavolozza e i pennelli, sotto i quali si legge la seguente iscrizione:
«Alla memoria di Joseph Severn – amico devoto e compagno al letto di morte di John Keats – che egli, sopravvivendo, poté vedere annoverato fra i poeti immortali dell’Inghilterra» – 3 agosto 1879
Morì all’età di ottantasei anni e fu il più devoto degli infermieri durante tutta la malattia del poeta.
Il nostro viaggio alla riscoperta di Keats continua e ci conduce nei meandri delle sue sofferenze. Prima di uscire dal cancello del Cimitero però, soffermiamoci ancora un po’ e diamo un’occhiata alle altre tombe, scopriremo fantastiche opere d’arte imitate ancora oggi in tutto il mondo.
[1] CHARLOTTE A. EATON, Rome in the nineteenth century, Archibald Constable and C., Edinburgh, 1820, Vol. II, p. 174.
[2] Nella prefazione di Shelley all’Adonais scritta nel 182
[3] ADA FRANZETTI-GUASTALLA, John Keats, A. F. Formiggini, Editore In Roma 1922 – l’affermazione di Keats verrà ripresa da Oscar Wilde nella sua poesia in onere del poeta (The Grave of Keats): «(…)….Una catena sempre in fiore gli intesse le ossa».
[4] Lettera a George e Georgiana Keats, 14/15 ottobre 1818 – http://www.gutenberg.org/files/35698/35698-h/35698-h.htm#Page_168
Fonti: