Irripetibile Settecento. Quale Settecento, in quali spazi? europeo, mondiale, anzi globale, come si usa? E in Italia, settecento piemontese, lombardo, veneziano, toscano, napoletano e così via, secondo la geografia politica degli antichi stati preunitari? Più facile sembrerebbe segnarne i confini cronologici.
Non ha esitazioni Wikipedia, che alla voce Diciottesimo secolo asserisce: «Il XVIII secolo inizia nell’anno 1701 e termina nell’anno 1800 incluso». Ma agli storici piace precisare, distinguere, complicare. Così i secoli diventano lunghi o brevi, si accorciano e si allungano a seconda dei momenti e dei punti di osservazione.
È breve il Settecento dei Lumi e delle riforme: più o meno dagli anni Trenta agli anni Settanta, quando si apre tumultuosa l’età delle rivoluzioni, inclusa la rivoluzione industriale. Un lungo Settecento è invece il titolo di un libro recente sulla storia degli «Italiani prima dell’Italia», che prende le mosse dagli ultimi decenni del Seicento, dalla fine della Controriforma, per arrivare fino a Napoleone o fino al 1848.
Irripetibile in che senso? Irripetibili si dicono in genere le brutte parole, che non bisogna assolutamente ridire. Ma irripetibili, con rimpianto, si dicono anche esperienze e momenti di unico splendore. Il Settecento apparve quasi da buttar via dopo lo scoppio della rivoluzione in Francia: ai rivoluzionari, perché lo videro come il culmine del dispotismo regio, dell’oppressione feudale, dell’oscurantismo ecclesiastico; ai controrivoluzionari, soprattutto ecclesiastici, perché in quel secolo troppi avevano scritto e disseminato idee di libertà, contro la Chiesa e l’altare, provocando alla fine i disastri della rivoluzione.
Di “Quell’irripetibile ‘700” parla Anna Maria Rao, Professoressa di Storia Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, oggi nell’Orto Botanico di Napoli, in via Foria 223, alle 20.30, alla conferenza di chiusura della XIV edizione del ciclo di incontri “Come alla Corte di Federico II – ovvero parlando e riparlando di scienza”.